La terra ai nuovi nati: con sei o sette figli ti fai persino il latifondo

31 Ottobre 2018

Andrà letta per bene e nei dettagli, la rivoluzionaria proposta contenuta nella manovra economica che promette un po’ di terra da coltivare per chi fa il terzo figlio. Già detta così pare bellissima, c’è un che di Via col vento e al tempo stesso qualcosa di romanticamente sovietico: la terra ai contadini! Solo se hanno tre figli, anzi due ma promettono di fare il terzo. Siccome sono tempi in cui i paragoni storici si sprecano, spesso a sproposito, non dirò della ripopolazione delle campagne, delle paludi, del sacro suolo, eccetera eccetera, e nemmeno dei premi alle famiglie numerose. Mi limiterò a ricordare un precedente illustrissimo. Era il 1865 e, in America, il generale Sherman emanò un’ordinanza per donare a ogni ex schiavo, come risarcimento, 40 acri di terra e un mulo per ararla. C’era il trucco: era terra quasi sempre paludosa e incoltivabile, in brutte zone, il mulo non gliel’hanno mai dato, poco dopo ammazzarono Lincoln, cambiò tutto e gli ex schiavi dovettero rendere le terre ai padroni bianchi. 40 acri e un mulo è un modo di dire, in America, che sottintende la fregatura storica che diventa, per l’appunto, proverbiale.

Ma qui c’è di più. La faccenda della terra distribuita per questioni di merito demografico (tre figli! Bravi, avete vinto un prato in Molise!) ha qualcosa di irresistibilmente satirico: con sei o sette figli ti fai un latifondo come ai tempi dei Viceré.

Ora immaginiamo la famigliola aspirante ceto medio che si arrabatta con due figli, stipendi precari, mutuo sul groppone, che si accinge a fare il terzo figlio, carica il camioncino come la famiglia Joad (Furore, John Steinbeck, 1939) e va dall’Oklahoma alla California in cerca di un pezzo di terra da coltivare. Molto suggestivo e letterario, molto fotografia seppiata della Grande Depressione. Forse un po’ meno affascinante dal punto di vista pratico, e poi bisognerebbe pensare allo sviluppo, andare avanti, programmare. Al quarto figlio la stalla. Al quinto figlio la trebbiatrice nuova. Senza contare alcune cosucce di non poco conto, come le condizioni dell’agricoltura italiana: uno va a coltivarsi i suoi 40 acri, e poi? Poi gli passano sotto il naso i camion delle arance raccolte col lavoro semischiavistico, il caporalato, la grande distribuzione e le sue aste al ribasso. Tutto questo senza nemmeno dover sparare a Lincoln.

In ogni caso si va a parare lì, all’aumento della natalità premiato come se fosse un donare braccia alla patria, una cosa già sbandierata dall’indimenticabile ministra Lorenzin. Naturalmente i legittimi titolari di due figli che si mettano in testa la balzana idea di fare il terzo ringrazieranno molto per l’idea, ma si ha come l’impressione che preferirebbero altri incentivi. Per esempio un asilo nido meno caro di una Porsche, servizi sociali adeguati, un welfare funzionante che permetta alle madri di lavorare a parità di salario con gli uomini, e altre cosucce consimili come magari tempi di lavoro che non siano dettati da un algoritmo. Dettagli. Cosucce. Ma va bene anche il prato in Molise, eh!

Immagino che ci sarà un boom demografico senza precedenti e avremo migliaia di nuove aziende agricole, dove il neonato potrebbe occuparsi delle papere. È evidente che affidare tutto questo ben di dio a famiglie svogliate ed egoiste che si rifiutano di figliare oltre il secondogenito sarebbe diseducativo e non ripopolerebbe le campagne, mentre si sa che l’impero ha bisogno di braccia da restituire all’agricoltura. Magari un giorno si supererà questa visione agreste e littoria per arrivare a incentivi meno avventurosi. Esempio: se fai il terzo figlio, scuola gratis fino alla laurea per gli altri due. La butto lì per il ministro della Famiglia, se si scopre che il terzo figlio sono due gemelli al papà si restituisce l’articolo 18. Pensiamoci. Il mulo, magari, un’altra volta.

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