l’intervista

Roberto Saviano: “La fiducia sul Rosatellum-bis è un agguato alla democrazia”

Roberto Saviano - Lo scrittore presenta a Milano il suo ultimo romanzo: “Racconto i cuccioli della camorra e le ferite delle periferie”. “Cambiare sistema alla vigilia del voto è da Paese malato: chi usa parole forti fa benissimo”

13 Ottobre 2017

Il Bacio feroce ha il sapore del sangue, come quasi tutto in questa storia di cuccioli selvaggi, vittime e carnefici negli stessi corpi, divisi tra i compiti a casa, i messaggi alle fidanzatine e gli omicidi. Undici mesi dopo La paranza dei bambini, Roberto Saviano torna in libreria con il seguito del romanzo criminale ambientato a Forcella.

È la prima volta che scrive due libri a così poca distanza uno dall’altro: quella del romanzo, narrato in terza persona, è la sua dimensione di scrittore?
Ci sono arrivato. Il racconto in terza persona concede molte libertà, la principale è il tentativo di restituire al lettore l’intimità dei personaggi. Di provare a entrare non solo nelle loro teste, ma proprio nelle loro viscere.

I dialoghi sono tutti scritti in napoletano, anche se un napoletano non “canonizzato” ma imbastardito, come scrive in nota: un lavoro sulla lingua ancora più approfondito rispetto alla Paranza. Perché questa scelta?
A Napoli il napoletano non è considerato un dialetto, ma una lingua viva, parlata anche e soprattutto dai giovani. E in quanto viva, è soggetta a evoluzione. Non avrei potuto utilizzare, nei dialoghi, il napoletano del canone, ma dovevo necessariamente avvicinarlo a quello parlato. Mi sono ovviamente chiesto se non fosse il caso di rendere tutto più italiano, ma andando avanti nella scrittura mi rendevo conto di non riuscire ad abbandonare il napoletano perché è esattamente la lingua che parlano le storie che racconto. La lingua, come i luoghi, rappresenta il tentativo, che sempre faccio, di raccontare una ferita che non è solo di Napoli o del Sud, ma che lacera ogni periferia. Il napoletano potrebbe essere qualsiasi dialetto o gergo, in ogni caso, una lingua da iniziati.

Parlando del precedente romanzo ci aveva detto: “Non credo nella possibilità di una giustizia”. E poi: “Questi ragazzi non hanno avuto speranza”. Ma l’urgenza di raccontarli fa pensare che lei nutra qualche illusione. O no?
Ovvio, se non fossi un illuso non sarei uno scrittore. Così come se non nutrissi illusioni di sorta non crederei affatto nella necessità del racconto.

Perché ha deciso di presentare Bacio feroce anche insieme a ragazzini che potrebbero beneficiare dello Ius soli? Che relazione c’è tra la cittadinanza e i temi di cui parla nei suoi libri?
Una relazione strettissima. Racconto, nei miei libri, di ragazzi che passano la vita a tentare – riuscendoci! – di uscire dal diritto; in libreria con me ci saranno invece ragazzi che attraversano questo mondo con un cammino opposto. Mostro questa contraddizione: c’è chi dal diritto vuole uscire e chi nel diritto vuole entrare. Lo Stato ignora entrambi, ipotecando il futuro e il presente di tutti noi. C’è poi un passaggio nel libro che ritengo significativo: è un invito alle madri a educare i propri figli al fallimento. Educarli a essere vincenti sempre e sempre i primi significa anche educarli a eliminare gli altri sottraendo loro diritti.

Tra meno di un mese si vota in Sicilia: che pensa dei tantissimi candidati coinvolti a vario titolo in vicende giudiziarie? Impareranno mai la lezione?
Il tema degli impresentabili è il vero tema della politica italiana, un tema enorme ma, evidentemente, di alcune candidature non si riesce proprio a fare a meno; e non ci si riesce perché si valutano solo i pacchetti di voti di cui questi impresentabili sono esclusivi proprietari. Tutto il dibattito sulla credibilità della politica, di fronte a certe dinamiche, non è che vada semplicemente in secondo piano, scompare del tutto. Il risultato negli elettori, come sappiamo, è un senso di impotenza. E quindi cosa accade? Accade che in una situazione in cui “voto o non voto non cambia nulla”, allora il mio voto lo faccio fruttare… E se negli anni Ottanta si prometteva di favorire un candidato per un posto di lavoro, oggi lo si fa per 50 euro.

Della fiducia sulla legge elettorale lei ha detto: “Sembra un agguato”.
È un agguato alla democrazia. È proprio delle democrazie malate cambiare la legge elettorale a ridosso delle elezioni e ha ragione da vendere chi usa parole forti per condannare questa vergogna. Con questo modus operandi, completamente sovrapponibile a quello del centrodestra del 2005, quando introdusse il Porcellum, cade un ulteriore velo di ipocrisia sul finto riformismo del Pd a guida Renzi. Il Consiglio europeo si è pronunciato raccomandando di non cambiare la legge elettorale a ridosso delle elezioni perché creerebbe un deficit di conoscenza e quindi una oggettiva violazione dei diritti dei cittadini. Con quale autorità morale potrà mai l’Italia criticare Erdogan e Putin se poi diamo per scontato che il sistema democratico regga nonostante tutte queste violazioni?

Si è, provocatoriamente, candidato contro Luigi Di Maio alle consultazioni dei 5 Stelle: perché?
Per toglierlo dall’imbarazzo di una consultazione democratica completamente falsa e per sottolineare quello che è il male oscuro del M5S: la necessità di rappresentarsi come una forza politica che pratica la democrazia al proprio interno quando la realtà dei fatti fotografa un Movimento che ha una struttura padronale. La mancanza di trasparenza sulle dinamiche di voto interno rende del tutto risibili le teorie sulla politica dal basso.

Secondo un sondaggio realizzato per il Fatto in giugno, la sinistra unita con lei leader avrebbe avuto il 16%. Secondo un recente retroscena del Giornale, Prodi starebbe pensando a lei come guida di un nuovo Ulivo…
Un esempio di fake news. Fare politica non è il mio mestiere: finirei per essere una faccia da esibire. La politica, per come la intendo io, deve partire dalle idee, non dalle persone.

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