Veleno nei pozzi

Eni, il complotto c’è stato pro o contro Renzi

Verbalizzato a Siracusa. Il testimone racconta ai pm: un gruppo occulto “era pronto a danneggiare il premier, accusandolo di prender soldi dal Mossad”

Di Antonio Massarie Davide Vecchi
8 Luglio 2016

C’ era un complotto per far saltare l’ad dell’Eni, Claudio Descalzi e, pur di realizzarlo, erano pronti a danneggiare Renzi, accusandolo di essere stato finanziato dal Mossad, il servizio segreto israeliano. Mi fu chiesto di partecipare a questa operazione, ma rifiutai”.

A parlare è l’ex manager dell’Eni Vincenzo Armanna, ascoltato due giorni fa dai pm di Siracusa che, come rivelato dal Fatto, stanno indagando su un presunto complotto per far cadere Descalzi. L’indagine riguarda anche le presunte pressioni esercitate su tre fedelissimi del premier – Marco Carrai, Luca Lotti, Andrea Bacci – per sostituire Descalzi con Umberto Vergine, alto dirigente Eni. E soprattutto: s’indaga sulla presunta trama che mirava a danneggiare il premier se avesse continuato a sostenere Descalzi.

La testimonianza di Armanna ha arricchito lo scenario di un dettaglio essenziale. La trama contro Renzi – sostiene il testimone – avrebbe previsto la diffusione di una falsa accusa: “Il futuro premier è stato finanziato dal servizio segreto israeliano del Mossad”. Toccherà ai pm indagare e dimostrare se tutto questo sia vero o falso. Comunque vada, siamo dinanzi a uno scenario gravissimo. Se il complotto è davvero esistito, confezionando falsi dossier, qualcuno avrebbe architettato un progetto che, nell’ipotesi più lieve, avrebbe consentito di ricattare il premier. Nell’ipotesi più estrema, avrebbe potuto rovesciare il governo. Se questo complotto contro Renzi, invece, non risultasse provato, la gravità sussisterebbe per il motivo opposto: a quale scopo sarebbe stato inventato? Nessuno può escludere che, tra gli obiettivi, vi sia quello di disinnescare uno scenario sfavorevole per il premier. Impossibile per il momento dare risposte precise: alcune certezze, però, esistono. E il Fatto è in grado di metterle in fila.

La prima è che il legame tra il Mossad e Renzi è stato messo nero su bianco da Maria Teresa Meli, notista politica del Corriere della Sera. È il 16 marzo 2016 quando, in un suo articolo di retroscena, scrive la seguente frase: “Massimo D’Alema, nel corso di una cena: ‘Renzi è un uomo del Mossad, bisogna sconfiggerlo’”. Una notizia che, se fosse vera, dovrebbe scatenare un immediato putiferio politico.

Non accade nulla. Il premier non reagisce, il Giglio Magico tace, nessun giornale riprende la notizia. E soprattutto, D’Alema non smentisce di aver detto quella frase. In un botta e risposta con l’ambasciatore israeliano Noar Gilon, sempre sul Corriere della Sera, D’Alema accusa il diplomatico di interpretare “in modo molto attivo e dinamico il suo ruolo, partecipando — e non solo con articoli— alla vita politica del nostro Paese”. Colpisce, nelle parole di D’Alema, quell’inciso: l’ambasciatore partecipa alla vita del nostro Paese “non solo con articoli”. E in quale altro modo?

La seconda certezza che possiamo elencare è precedente all’articolo del Corriere firmato da Meli. Siamo nel dicembre del 2015. Il Fatto inizia a seguire una pista che porterebbe a uno scoop internazionale: Renzi fu finanziato dal Mossad durante le primarie del 2012 contro Pier Luigi Bersani e i nostri servizi segreti, Copasir incluso (il comitato parlamentare che vigila sull’attività dei servizi segreti), intervennero per bloccare il flusso di denaro. Una fonte autorevole e qualificata, che proteggiamo con l’anonimato, ci rivela: “Nel 2012 il Dis (il dipartimento della presidenza del Consiglio che coordina i servizi, ndr) ha informato il Copasir, in maniera informale, che il Mossad stava finanziando la campagna elettorale di Renzi per le primarie contro Bersani. A quel punto il Copasir avverte l’allora direttore del Dis, Giampiero Massolo, chiedendogli di intervenire. Infine, qualcuno dei servizi incontra l’ambasciatore israeliano Noar Gilon per discutere l’argomento”.

Il Fatto cerca un riscontro. Finora, non abbiamo trovato conferme. Il portavoce dell’ambasciatore Gilon smentisce. Nel frattempo il Fatto pubblica un’inchiesta in tre puntate, descrivendo una rete di società legate all’amico di Matteo Renzi, Marco Carrai: create in Lussemburgo, queste società portano dritte a Tel Aviv; tra i soci di Carrai c’è Reuven Ullmansky, veterano dell’unità 8200 dell’esercito israeliano, dedita da sempre alla guerra cibernetica e alla “raccolta dati” per l’intelligence israeliana.

Ricostruiamo i rapporti tra Renzi, Carrai e Michael Ledeen, il diplomatico americano che negli anni 90 fu espulso dagli Usa proprio perché accusato di aver spiato gli americani per passare notizie ai servizi del suo Paese.

L’intero quadro rende verosimile la ricostruzione della nostra fonte (“Renzi fu finanziato dal Mossad”) ma non costituisce una prova: il Fatto decide di non scrivere la notizia. E qui s’innesta un dettaglio singolare e piuttosto curioso. Fabrizio Rondolino – ex portavoce di D’Alema ed editorialista de l’Unità – nella sua rubrica “il fattone” e dedicata al nostro quotidiano, ironizza: “Il complotto è dunque evidente, i demo-pluto-giudei stanno per prendere il potere, il Mossad s’è impadronito di Palazzo Chigi”. Rondolino sa che, nelle nostre inchieste, non abbiamo scritto nulla del genere. Avrebbe dovuto rivolgere l’appunto all’unico quotidiano che l’ha scritto, il Corriere, attribuendola a D’Alema (che non ha smentito).

Il Fatto, seguendo un’altra inchiesta giudiziaria, s’imbatte in una nuova fonte alla quale chiede se – considerate le sue conoscenze internazionali, anche nell’intelligence, e il suo ruolo in Eni – abbia saputo di questa storia: “So che esiste l’interesse di imprenditori ebrei, impegnati in attività in Toscana e Francia, che hanno avuto un forte interesse a sostenere politicamente Renzi. Non so se l’abbiano finanziato economicamente. Escludo soldi dal Mossad. Sono certo che non esiste alcun documento al Copasir che dimostri questa tesi”. Per mesi, poi, i contatti con la fonte si interrompono. Siamo noi a cercare lui, ai primi di giugno, quando ci segnalano l’inchiesta a Siracusa su un complotto contro Descalzi. Ne scrive un’agenzia, la Agir, che fa anche il suo nome.

La nostra fonte dice che deporrà a Siracusa e racconta di essere a conoscenza di un doppio complotto, non solo contro Descalzi, ma anche contro Renzi. Gli chiediamo ancora del finanziamento del Mossad a Renzi. E ci risponde: “Non è mai esistito. Lo so con certezza perché mi fu chiesto di contribuire alla creazione di un dossier che simulasse questo scenario. Rifiutai. L’idea era che il dossier finisse al Copasir. Dopo i servizi segreti avrebbero dato conferma della sua attendibilità. Lo scopo era proteggere Enrico Letta dall’ascesa di Renzi. Rifiutai e con me non se ne fece nulla”.

Poi aggiunge: “I destinatari del dossier, secondo me, erano i giornalisti. Il meccanismo è semplice: un giornale lo pubblica, il Copasir lo legge, convoca i servizi, chiede un supplemento di indagine. E l’indagine conferma la tesi”. Chiediamo: “Lei è in grado di dimostrarlo?”. La risposta è: “No”. La fonte ci invita a verificare la sua tesi fornendo dettagli, incontri, episodi.

Un complotto contro il premier è una notizia di rilevanza enorme. Anche in questo caso, in assenza di riscontri, rinunciamo a scrivere. Iniziamo una serie di verifiche che, però, vengono sorpassate dai tempi della cronaca. La nostra fonte, Vincenzo Armanna, due giorni fa viene ascoltato a Siracusa. La sua versione ora è un documento ufficiale: un verbale d’interrogatorio, quindi riepiloghiamo gli elementi certi a nostra disposizione.

Il Fatto nei mesi scorsi ha ascoltato differenti, opposte versioni, che riguardavano Renzi e i suoi rapporti con il Mossad. Entrambe le versioni – sebbene opposte – evocano un ruolo del Copasir e dei nostri servizi. C’è poi la frase – mai smentita – che il Corriere attribuisce a D’Alema: “Renzi è un uomo del Mossad”. Armanna, ascoltato dalla Procura di Siracusa, racconta che un gruppo di persone ha complottato contro Descalzi e Renzi e che, per quest’ultimo, s’intendeva costruire un falso dossier che dimostrasse un finanziamento del Mossad. Tocca ai pm verificare se questa tesi sia vera o falsa. Il Fatto non ha trovato conferma né dell’una, né dell’altra ipotesi, ma la gravità dello scenario è evidente: o il finanziamento del Mossad c’è stato o qualcuno ha complottato contro Renzi, per accusarlo falsamente di averlo ricevuto. Per di più, questa storia si lega a una presunta battaglia per conquistare la guida del nostro colosso petrolifero: l’Eni. Il Fatto Quotidiano non ha mai riportato tali notizie, finora, per assenza di riscontri. Ogni minimo errore ci avrebbe resi strumento d’un gioco di potere per noi occulto.

Non cambiamo idea, ora che questa storia è in un verbale d’interrogatorio, perché se è vero che la cronaca c’impone di raccontare l’inchiesta di Siracusa, il nostro ruolo ci impone di rivelare ai nostri lettori i retroscena di questi mesi: giunti a questo punto, non è sufficiente raccontare la realtà giudiziaria, ma è necessario capire di più.

Sapere se è vero, per esempio, ciò che il portavoce di Gilon ha smentito: che il Dis parlò con il diplomatico, dei finanziamenti del Mossad a Renzi. Sapere se è vero che il Copasir fu messo a conoscenza della vicenda. Sapere se è vero ciò che dice Armanna e sostengono a Siracusa altri testi: i pm dovranno appurare la verità.

A noi, nel frattempo, non resta che una domanda: quale gioco si cela, dietro questi due teoremi opposti, che hanno rischiato di finire sui giornali e ora sono in un faldone della Procura di Siracusa? Non è una domanda da poco.

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