Elogio della fuga di Dibba (ora, però, non ci ripensi)

23 Marzo 2018

Oggi saliamo sul carro dei vincitori. I Cinque Stelle. Per dare un’occhiata in giro. C’è grande fermento: Di Maio, Grillo, Casaleggio, Fico, Taverna, Fraccaro. Si parla di presidenze, di governi, dei più prestigiosi incarichi istituzionali. Magic Moments. Manca qualcuno? Alessandro Di Battista. Non pervenuto. Anzi sì. C’è un trafiletto sul Corriere della Sera. Leggiamo che, mercoledì, si è visto a Montecitorio per alcuni adempimenti burocratici. “Il quasi ex deputato M5S era con la compagna Sahra e con il figlio Andrea di 6 mesi e ha detto: Che goduria non vedere più certe facce”.

Pensiamoci un attimo. Il “quasi ex deputato” ha 40 anni, è un giovane uomo all’apice del ciclo vitale e del successo politico. Nel mondo grillino gode di una popolarità straordinaria (forse solo Grillo è più amato). Dunque, avrebbe potuto benissimo essere il nuovo presidente della Camera (o del Senato). Senza contare che in un possibile governo pentastellato era già pronta per lui la poltronissima di ministro degli Esteri o di altro adeguato peso.

Non sarà così perché Alessandro non si è candidato. Non si è candidato perché ha scelto un’altra vita. Con Sahra e Andrea tra qualche mese andrà in America Latina per osservare, conoscere, imparare, respirare. In una parola: per sentirsi vivo. Lo farà anche “per non vedere più quelle facce”. Potrebbe ritornare tra sei mesi o tra un anno o protrarre il viaggio verso confini più estremi. A questo punto i dieci lettori potrebbero insorgere accusandomi: uno, di essermi venduto ai grillini e due, di propinare sul Fatto minestre riscaldate essendo tutto ciò saputo e risaputo. Sulla prima accusa non ho difesa, a tutela delle segretezza del mio voto che definirei terra terra: un paio di pneumatici sventrati sulle strade dell’Urbe non mi hanno messo dell’umore giusto per fidarmi ancora del nuovo che avanza.

Quanto al secondo possibile rimprovero provo a ribaltarlo con l’argomento opposto. La sindrome (nazionale) del “tanto sono tutti uguali” ha talmente offuscato il nostro sguardo sulla politica (e sui politici) da impedirci di cogliere le “differenze”. Di Battista non è un leader straordinario anche se, come si dice di certe promesse del calcio, ha ampi margini di miglioramento. Possiede un certo talento oratorio, sa essere trascinante ma – giudizio del tutto personale – gli capita sovente di eccedere con la retorica della facile indignazione (probabilmente la stessa che ha seminato il terreno del “tanto sono tutti uguali”).

Detto questo, non valutare come tale la straordinarietà di un gesto forse senza precedenti in un mondo dove ci si scanna per uno strapuntino, non aiuta noi a comprendere che il cambiamento tanto invocato comincia proprio dall’esempio del si può fare. Da uno scatto interiore che sappia mettere davanti all’esercizio del potere la ricerca della felicità (che gli americani hanno scritto nella Dichiarazione d’indipendenza). Lo so che i dietrologi in servizio permanente effettivo hanno già sanzionato che Di Battista la sa lunga, che la sua pausa di riflessione gli consentirà comunque di conquistare le redini del Movimento “dopo”, nel caso il gemello diverso Luigi Di Maio fallisse la scalata di Palazzo Chigi. E anche se fosse?

P. s. L’unico rischio di questo articolo è che, all’ultimo momento e per un qualunque motivo, Di Battista rinunci a realizzare il suo sogno (un po’ come avvenuto con la mancata fuga di Veltroni in Africa). Alessandro, ti prego, non mi rovinare.

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