L’iniziativa

“È contro le donne! ”, 60 piazze contro il ddl Pillon

Da Trento a Lecce - Associazioni, centri antiviolenza e sindacati protestano: ecco perché

10 Novembre 2018

“Dimentica le donne vittime di violenza e le costringe a trattare con il proprio aggressore. Nega l’accesso alla giustizia a chi non ha soldi per le spese legali. Trasforma i figli in oggetto di contesa per continuare a controllare le madri”. Con questi slogan le femministe di Non una di meno scendono oggi in piazza in oltre 60 città: manifestano contro il disegno di legge del leghista Simone Pillon che vuole riformulare le norme per affidamento e mantenimento dei figli. Al loro fianco la rete dei centri Antiviolenza D.i.Re., i sindacati Cgil, Cisl, Uil e Usb, Arcigay, Arci e Arcidonna, Telefono Rosa e Udi. Un fronte trasversale capace di unire attiviste, l’Autorità garante per l’infanzia Filomena Albano ed esperti di diritto familiare. Il promotore del ddl, già organizzatore del Family Day, assicura che sarà approvato. Ma ci sono cedimenti anche sul fronte politico. Seppure previsto dal contratto di governo, non piace a parte dei 5 stelle che hanno già promesso “modifiche”. “Così non va”, ha detto Luigi Di Maio in un’intervista a Elle. Chi scenderà in piazza oggi ne chiede il ritiro integrale. “È una proposta intrisa di violenza”, dice Non una di meno. “La respingiamo senza condizioni”.

Sotto accusa c’è la struttura generale. Intanto si introduce l’obbligo della mediazione familiare al momento della separazione, di cui solo la prima seduta gratuita. Questo è in contrasto con l’articolo 48 della Convenzione di Istanbul che definisce inapplicabile l’obbligo di mediazione. E in questo caso, dicono i detrattori del ddl, costringerebbe le donne vittime di violenze a incontrare i mariti aggressori. Sempre nella legge si stabilisce uguale divisione del tempo trascorso con i figli, “compresi i pernottamenti”: quindi si obbliga al doppio domicilio. Ma, dicono le critiche, così non si tutela “la stabilità psicologica dei bambini”. E, ribadiscono i centri antiviolenza, si “costringono i figli a stare con i genitori violenti fino a che la violenza non è comprovata”, ovvero non si è arrivati alla condanna in terzo grado di giudizio. Una eventualità che metterebbe in pericolo gli stessi minori. Altro punto contestato è l’eliminazione dell’assegno di mantenimento, che sarà sostituito con il “mantenimento diretto” del figlio da parte dei genitori in proporzione al reddito. Infine il ddl si propone di intervenire contro la cosiddetta “alienazione parentale”, concetto criticato pure negli ambienti scientifici. Ovvero nel caso in cui il minore non voglia avere rapporti con uno dei genitori, il giudice può “limitare la responsabilità genitoriale dell’altro pur in assenza di evidenti condotte”. Ipotizzando quindi che ci siano state pressioni e influenze sul figlio contro il coniuge. Questo, secondo Non una di meno, rischia di essere “un ricatto per scoraggiare la denuncia di violenza del marito”.

Il testo preoccupa gli operatori sul campo. “Vanifica”, dicono dal Telefono Rosa, “tutti gli sforzi per prevenire tragedie familiari”. La rete D.i.Re. ha lanciato una petizione su Change.org che ha già raccolto 100 mila firme: “Il dispositivo – denunciano – rischia di sostenere gli interessi della parte peggiore degli ordini professionali, oltre che supportare una cultura patriarcale e fascista che tenta di schiacciare la soggettività e la libertà delle donne ancorché dei minori”. Pure l’Onu ha mandato una lettera al governo per mettere in guardia sul rischio “discriminazione”. Il fronte dei contrari raccoglie adesioni, mentre il testo continua il suo iter. Per Pillon si va avanti, mentre i leghisti temporeggiano. Per il ministro della Famiglia Fontana, le proteste “sono premature”.

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