Da Abu Mazen a Gentiloni, Trump abbraccia tutti

24 Maggio 2017

Proveniente da Israele, dove ha incoraggiato ieri il presidente dell’Autorità palestinese Abu Mazen a “compromessi per la pace”, Trump è sbarcato a Roma 18 ore dopo che gli avvoltoi del terrorismo hanno ripreso a volare in larghi giri sull’Europa. Trump è arrivato in una città sotto sopra dal mattino, perché le misure di sicurezza, già eccezionali, erano state ancora rinforzate dopo l’attentato di Manchester. Ai romani, di sopportare disagi, ritardi, ingorghi per quel presidente dalla bazza arruffata non andava molto. Ma la zaffata di paura giunta da Manchester ha narcotizzato la città, che s’è – quasi senza insofferenze – rassegnata alla paralisi. E in serata ha spento il Colosseo, come Parigi con la Torre Eiffel, in segno di lutto e solidarietà.

Più che a Roma Trump è qui in visita al Vaticano: questa mattina viene ricevuto in udienza di buon’ora da papa Francesco e così completerà il suo cabotaggio tra i tre monoteismi, cominciato in Arabia Saudita, la culla dell’Islam, proseguito in Israele, la terra promessa del popolo ebraico, e concluso nella capitale della cristianità. Per i funzionari del Dipartimento di Stato, il periplo di Trump ha “portata storica”. E la tappa a Roma, dice il consigliere per la Sicurezza nazionale, il generale McMaster, è “un pegno d’amicizia per l’Italia”. Ivanka, la figlia, twitta “Ciao Roma”; e poi il presidente e Melania, Ivanka e il genero Jared Kushner vanno a cena a piazza Sant’Ignazio: supplemento di paralisi per il traffico romano.

I convenevoli italiani sono ridotti al minimo: il premier Paolo Gentiloni lo va a salutare a Villa Taverna, la residenza dell’ambasciatore degli Usa, dove Trump si ritira con la moglie Melania subito dopo il suo arrivo; e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella lo riceverà al Quirinale, dopo l’udienza in Vaticano. Poi, via verso Bruxelles dove, tra il pomeriggio di oggi e la giornata di domani, lo attendono il re dei belgi Filippo II, i capi delle istituzioni dell’Ue e un vertice Nato.

La lotta contro il terrorismo è il filo conduttore di questa prima missione all’estero di Trump, zeppa di contraddizioni come spesso le azioni e le scelte del magnate presidente. Dopo avere seminato zizzania nel mondo musulmano – come se ci fosse bisogno di mettere i sunniti contro gli sciiti – e generiche speranze tra israeliani e palestinesi, s’appresta a sollecitare un maggiore coinvolgimento degli alleati europei nei conflitti contro il sedicente Stato islamico e nel contrasto alle loro cellule. E, intanto, gli sherpa dei Grandi, stimolati dalla strage di Manchester, rifiniscono la dichiarazione antiterrorismo, un inevitabile corollario di tutti i Vertici, almeno dopo l’11 settembre 2001.

Da Bruxelles, Trump tornerà in Italia, andrà direttamente a Taormina per il G7: su economia, commercio, clima, sarà più una manfrina che un confronto, perché nessuno vuole rompere e perché gli americani hanno già messo le mani avanti – la nuova Amministrazione non ha ancora perfezionato le posizioni sulla libertà degli scambi e sul rispetto, o meno, dell’accordo di Parigi.

Se il presidente non s’inventa un numero, alla Nato e al G7 finirà tutto a tarallucci e vino: chi, fra i leader dei Grandi e dei Paesi della Nato, ha già incontrato Trump è sollecitato dai colleghi a dare consigli su come “neutralizzarlo”. Il braccio di ferro presunto sul 2% del Pil da spendere per la difesa è un “fare ammuina”, perché l’impegno, quasi mai rispettato, è già contenuto in decine di documenti dell’Alleanza, da ultimo nei titoli di coda del vertice di Cardiff , con la regia di Obama.

Filassero così lisce le cose a casa, a Washington, sarebbe una festa. E, invece, dal Congresso continuano ad arrivare scricchiolii sul Russiagate, dove la posizione del generale Flynn, l’ex consigliere per la sicurezza nazionale, si complica di giorno in giorno; e pure sulla scelta dell’Amministrazione d’arruolare lobbisti; e infine sul progetto di bilancio appena messo a punto, che aumenta come previsto le spese militari e taglia quelle sociali. I critici parlano di un “libro dei sogni”: le entrate si basano su una previsione di crescita del 3%, superiore al previsto, proprio mentre la fiducia in Trump cala anche a Wall Street.

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