Confindustria e Senato, due facce della stessa indecente medaglia

17 Marzo 2017

Politicamente parlando i senatori che si sono rifiutati di applicare una legge dello Stato nei confronti di un pregiudicato loro collega sono dei maiali. Del resto era stato proprio George Orwell a insegnarci che tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri. Dal punto di vista antropologico, invece, il voto contro la decadenza da Palazzo Madama dell’ex direttore del Tg1 Rai, Augusto Minzolini, condannato per aver rubato grazie alle note spese decine di migliaia di euro, dice molto sulla sconcia psicologia della classi dirigenti italiane. E spiega perché, al contrario del resto d’Europa, questo Paese non riesca a risollevarsi da una lunghissima crisi economica e morale.

Sarebbe però sbagliato pensare che questo fenomeno riguardi esclusivamente il ceto politico. Certo in Parlamento tutto è più evidente. Quando si calpesta la Costituzione, ci si sostituisce alla Corte di Cassazione e ci si rifiuta di rispettare una norma che viene invece imposta a ogni altro cittadino, diventano subito chiari gli scambi di favori (Lotti contro Minzolini), le strategie (l’aiuto a Berlusconi che se vedrà la legge Severino bocciata dai giudici di Strasburgo potrà forse candidarsi già nel 2018) e le miserie umane di chi è disposto a perdere la faccia pur di essere riconfermato su uno scranno.

In Senato gli abusi di potere e i deliri di onnipotenza della Casta saltano subito all’occhio. Per percepirli basta ascoltare la frase del forzista Giacomo Caliendo che in aula confessa: “Questo voto non è per Minzolini, ma per tutti noi”. E quella del capogruppo dem, Luigi Zanda, che pur avendo votato per la decadenza s’inalbera, inventa la neolingua e dice “Usi le parole adatte!” a chi chiede “Avete salvato un pregiudicato?”.

 

Fuori dalle aule delle istituzioni parlamentari il tragico declino dell’establishment corre però in parallelo. Forse meno evidente, ma altrettanto dirompente. Se la politica con il voto su Minzolini dimostra di essere lei stessa l’anti-politica, con quello che accade nel sindaco padronale della Confindustria, l’impresa, anzi gli imprenditori, si dimostrano essere i veri alleati della crisi.

Il caso del Sole 24 Ore, il giornale che per anni ha domandato (a volte giustamente) moralità nella gestione della cosa pubblica, velocità negli interventi e riforme, sta lì a raccontarlo. Mentre s’incitavano i governi a chiedere agli italiani di stringere la cinghia, i sedicenti migliori campioni del nostro capitalismo o non si rendevano conto che nel loro quotidiano si truffavano gli inserzionisti e gli azionisti o erano complici. Per questo oggi le faraoniche note spese di Minzolini, condonate dal voto del Senato, vanno in coppia con quelle del direttore sospeso del Sole, Roberto Napoletano, e con i suoi bonus milionari.

Se siano un reato o meno, ovviamente lo stabiliranno i giudici. Ma l’indecenza già ora è evidente. E ci dice che il problema italiano, come nel pesce, sta nella testa. Sta in chi decide e comanda. Perché Confindustria e Senato sono due facce della stessa ipocrita medaglia. Ovvio, sappiamo bene che in Parlamento e tra gli industriali italiani vi sono pure molti uomini e donne di valore. Ma ormai ci stiamo avviando all’ultimo miglio. Chi siede in plancia sta mandando velocemente la nave verso la scogliera. Se si può ancora fare qualcosa il momento è questo. Perché quando il Titanic affonda anche chi viaggia in prima classe non si salva.

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