La storia

Al funerale del padrino mafie, slavi e “neri” di Milano

La mappa criminale - Per l’addio a Mimmo Pompeo nuovi narcos e vecchia “mala”, boss da Crotone, dall’Est e dalla Svizzera e il capo degli hammerskin

19 Marzo 2017

Un funerale da cui partire. Una chiesa, macchine, volti. Per capire che la Milano criminale cambia. Che ha smesso i panni della discrezione, che ora sceglie la visibilità, l’esibizione. Che fa accordi con l’estrema destra sostenuta dalla Lega di Matteo Salvini. Che sceglie le cooperative sociali in stile Mafia Capitale per rimettere in piedi vecchie bande e darsi agli appalti pubblici, grazie alla politica, che spesso indossa la casacca rosso sbiadito del Pd.

Aria ancora fredda in via Antonini. Cielo grigio che pesa sul traffico intenso. Periferia sud di Milano. L’arteria di via Ripamonti. Case popolari. Degrado, spaccio, fatica. Fuori dalla chiesa di Santa Maria Liberatrice, attaccato al portone, il drappo scuro e una scritta: ore 11 celebrazione in memoria di Mario Domenico Pompeo, classe ’53. È il 28 febbraio scorso. Fino a due giorni prima, quando il quadro clinico si è aggravato irrimediabilmente, amici e familiari lo chiamavano Mimmo. Lo conosceva così anche la polizia giudiziaria. “Mimmo Pompeo” sta scritto in decine di informative. “Appartenente – si legge in una nota del Ros di Milano – alla cosca Arena, egemone in Isola di Capo Rizzuto”. ’Ndrangheta di nobili origini.

Pompeo fa carriera al Nord. Corre rapido l’onda della prima malavita. Entra nella cerchia di Angelino Epaminonda. Dal Tebano eredita le bische. Pompeo è calabrese, ma all’epoca sta con il clan dei Catanesi. Nel 1991 i carabinieri di Isola di Capo Rizzuto lo descrivono così: “Elemento pericolosissimo per l’ordine e la sicurezza pubblica”, legato “alla mafia corleonese e figlioccio del noto Luciano Liggio”.

È un boss Pompeo? Certamente un capo. Parente di Ginetto Di Paola, uno degli autori della strage al ristorante La Strega di via Moncucco (3 novembre 1979 e 8 cadaveri). La più sanguinosa che la storia criminale di Milano ricordi. Vicino al narcos serbo Dragomir Petrovic. E, con il passare degli anni, uomo di consigli, paciere, tanto intelligente e colto (era appassionato di letteratura) da dirimere guerre e regolamenti di conti. Ecco chi era Pompeo: cardinale della mala con affari tessuti alla Comasina, il quartiere che fu di Renato Vallanzasca.

Per questo il 28 febbraio oltre ad amici e parenti, la malavita che conta si fa vedere. Presenziare è necessario. La ’ndrangheta del Crotonese manda i suoi emissari. Boss e comprimari discutono, fumano, formano capannelli sul sagrato della chiesa. Dentro, il prete celebra messa. Fuori, sguardi e silenzi ridefiniscono le nuove alleanze di una rinascita criminale. Che stringe patti da un lato con le cosche e dall’altro con l’estrema destra. In rappresentanza c’è Domenico Bosa, detto “Mimmo Hammer”, capo milanese del movimento skin, nonché buon amico di narcotrafficanti slavi con i quali discute di droga e di omicidi.

I serbi qui al funerale indossano divise comuni: scarpe scure di cuoio e giacca di pelle nera. A onorare il capo sono arrivati anche dalla Svizzera. Porsche Cayenne presa da una società di leasing con targa dei Grigioni. Ci sono le famiglie storiche: i Tallarico, i Pittella, alcuni parenti della famiglia mafiosa del superboss Pepè Flachi. E c’è anche un convitato di pietra. La polizia giudiziaria annota le targhe. L’appuntamento è da non perdere. “In chiesa o fuori c’erano tutti – ragiona un investigatore – perché l’assenza non giustificata poteva creare sospetti. Mimmo Pompeo è il passato, il presente e sarà il futuro per il rispetto che gli sarà riconosciuto attraverso figli, fratelli e nipoti”.

La morte, in questi casi, ridistribuisce le carte al tavolo. E il nuovo gioco criminale, oggi, riparte da zone ben precise di Milano. Aree storiche ma la cui attualità troppo spesso sfugge alla lente della Procura antimafia che, come ha specificato il procuratore Ilda Boccassini, punta sui reati finanziari. “Eppure – racconta un altro investigatore – oggi la cosiddetta mafia povera, quella dei summit nei bar, dei chili di cocaina, delle armi da guerra, delle estorsioni si sta riprendendo la città”. Ripartiamo allora da un’area tra Quarto Oggiaro, la Comasina e Novate Milanese. Via Bovisasca divide gli spazi. Non lontano, in un’area industriale, protetto da campi e vie a fondo chiuso, c’è un autosalone. Qui nuove e vecchie leve, legate ai Pompeo, ai Flachi, ai Toscano, officiano riunioni, gestendo carichi di armi da guerra da occultare in doppifondi di auto supersportive. Armi da vendere o da portare con sé. Da esibire in scatti suggestivi postati poi sui profili Facebook. Da usare anche come capitato il 15 febbraio scorso nel quartiere di Bruzzano. Spara Paolo Pittella per gambizzare. Lo fa a volto scoperto. Nessuno parla. Lo arrestano il 13 marzo, dopo una lunga caccia tra le case popolari del quartiere dei fiumi a Bruzzano.

Calabrese di Isola di Capo Rizzuto, Pittella più volte è stato controllato assieme a Gino Pompeo, nipote di Mimmo e con Salvatore Geraci segnalato per essere “un pluripregiudicato per rapina, sequestro di persona, armi e droga”. Gino è uno degli eredi. Core business: la gestione dei cosiddetti paninari. Equilibri dunque. Dopo il funerale soprattutto. Non semplici da gestire. Come successo il 3 marzo scorso. A Quarto Oggiaro viene gambizzato Gianluca Ricatti, classe ’89, figlio di Giuseppe, già legato al crimine influente della zona di piazzale Loreto. Spari, sostengono gli investigatori, per regolare i conti della droga, dopo la morte di Pompeo. Oltre Quarto Oggiaro, il ponte di via Palizzi, c’è piazza Prealpi. Strati di ’ndrangheta, uno sull’altro, epoca dopo epoca. Il clan Di Giovine ieri e oggi. E un ultimo boss, catturato latitante in Spagna, che sceglie di collaborare. Sul piatto dei primi colloqui tanta droga e un progetto di attentato a una personalità delle istituzioni.

E poi c’è l’ultima tappa. Forse la più grave e importante. Ultima perché ancora insvelabile. Coperta da decine di omissis. Tra le pieghe, un’area precisa dell’hinterland e una cooperativa sociale che lavora con i carcerati, messa in piedi da chi la galera l’ha conosciuta per un concorso in omicidio. E ora il lavoro accelera, grazie ai contatti direttissimi con politici della zona e anche sindaci, nati e cresciuti alla scuola del Pd. È Mafia Capitale. Ma non si può dire. Appalti pubblici e nuovi assunti in cooperativa. Molti che arrivano dal passato criminale. Uno, in particolare, che con un fine pena 2030 (circa) per omicidio, grazie alla cooperativa ottiene la semilibertà, e si rimette nel gioco balordo. Volti, nomi, equilibri, politica. È la città criminale 2.0.

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