Anche il 2022 si conferma sinora record per le assunzioni stagionali. Pure nell’anno in corso, i numeri fanno infatti a pezzi la leggenda degli addetti “introvabili” messa in piedi dagli imprenditori del turismo. Nei primi cinque mesi, con le scuole ancora aperte, i contratti stagionali hanno superato quota 403mila, mai raggiunta anche negli anni precedenti al Covid. I dati sono nell’ultimo report dell’Osservatorio sul precariato diffuso dall’Inps e portano al solito dilemma: se è vero che il Reddito di cittadinanza ha indotto milioni di persone a restare sul divano, come dicono le aziende, com’è poi possibile che le stesse persone firmano questi contratti di lavoro stagionale?
Il tema è importante soprattutto perché, in campagna elettorale, diversi partiti – di destra, centro e non solo – sono pronti ad abolire o a ridimensionare drasticamente la misura anti-povertà inaugurata nel 2019 per trasferire i fondi alle imprese sotto forma di sgravi alle assunzioni. Problema: queste proposte si basano su un approccio ideologico (contro i poveri) che non ha aderenze con la realtà. Tra gennaio e maggio del 2019 – periodo in cui il Reddito di cittadinanza è stato quasi completamente inoperoso (i primi accrediti sono arrivati a fine aprile) – furono stati attivati 301.024 contratti di lavoro stagionale. Poi nel 2020 lo choc dovuto alla pandemia ha causato un fisiologico crollo. Nel 2021 sono pian piano risaliti, arrivando a maggio a 253mila (il boom dei mesi successivi comporterà il record annuale). Nei primi cinque mesi del 2022, invece, siamo già a 403.874 contratti, in crescita del 59,6% sui 253.076 dei primi 5 mesi del 2021: eppure questo non basta a sedare le lamentele delle imprese.
Come è possibile? Le spiegazioni sono molteplici. Sorvoliamo su quella più logica, per cui la difficoltà a trovare manodopera dipende soprattutto dalle scarse, quando non indecenti, condizioni offerte.
Innanzitutto, è possibile che il racconto imbastito dagli imprenditori sia quantomeno esagerato, per attirare l’attenzione delle politica, affinché abbia un occhio di riguardo, e degli stessi lavoratori, affinché si candidino per le posizioni aperte. I numeri sulle centinaia di migliaia di addetti mancanti vengono rilevati da Anpal e Unioncamere attraverso un’indagine cui rispondono circa 104mila datori, i quali hanno un evidente interesse a sovrastimare il problema. La seconda ragione è demografica: il settore turistico cresce anno dopo anno, mentre l’Italia ha sempre meno giovani. Ciò spinge le imprese a fare scouting tra lavoratori più in là con l’età e questi, avendo probabilmente maggiori responsabilità familiari, possono avere maggiori pretese in termini di retribuzione e orari, oltre a essere poco avvezzi ad accettare impieghi stagionali. Quindi, più che di impossibilità a trovare addetti, dovrebbe parlarsi di maggiore difficoltà rispetto al passato. Le imprese devono solo compiere sforzi maggiori nella ricerca e selezione, attività che ha i suoi costi e per questo è mal digerita dai titolari.