L’anticipazione

Natangelo, dall’epopea di Berlusconi alle minigonne della Boschi

Un libro tra satira e censura

28 Settembre 2021
La copertina del libro di Mario Natangelo

“Vorrei tanto condividere con tua madre questo momento!”. Questo è il messaggio che ricevo via WhatsApp il 27 maggio 2019, la mattina dopo le elezioni europee. A mandarmelo è un candidato che ha appena avuto dal suo staff la conferma di essere stato eletto. No, non è un vecchio amico di mia madre e il messaggio significa proprio quello che sembra. Vi chiederete: chi è questo neorappresentante delle istituzioni, questo figlio del Manifesto di Ventotene, che vorrebbe condividere con la mia mamma la sua elezione? Non è così importante ma ve lo racconterò comunque più avanti. Perché è incazzato, invece, ve lo dico subito. È incazzato perché l’ho preso per il culo con un disegnetto: sono un vignettista satirico, è il mio lavoro. Qualcuno ride, qualcun altro si incazza. E io ora vi racconterò le storie di alcuni di quelli che si sono incazzati.

Partiamo dall’inizio. Sono nato nel dicembre del 1985 a Napoli e sono cresciuto a Scampia. Non so se siete di quelli che hanno sempre sognato di vivere in un posto da film: be’, io ci ho vissuto in un posto da film e il fatto che quel film fosse Gomorra di Matteo Garrone è un dettaglio. Dal 2007 disegno vignette di satira politica. Ho iniziato come autore professionista a 21 anni ma non ho mai fatto il boom: non si fa il boom con la satira politica, anche se da ragazzino mi sembrava una prospettiva plausibile. Cosa che potrà sembrare bizzarra per uno che si occupa ogni giorno di satira: la politica non mi appassiona, quasi meno del calcio; sono solo sport truccati, ma magari sul calcio mi sbaglio ed è solo un pregiudizio. Non ho mai neanche avuto la tessera di un partito. A qualcuno pare strano che si possa fare il mio lavoro senza militare in un partito: devi avere una tessera in tasca, e se non risulta è perché la tieni nascosta. Tipo i tatuaggi: oggi tutti devono averne uno e se non ce l’hai sei strano. Io non ne ho, di tatuaggi. Quando qualcuno – una ragazza al primo appuntamento, magari – mi chiede: “Hai tatuaggi?” rispondo “Ancora non sono stato in galera” e rido. È una battuta che fa ridere solo me, e finisce che non si scopa.

Ma tanto sono un vignettista, non si sarebbe scopato lo stesso. Nel 1985 sono appena nato e già al governo c’è uno tipo Bettino Craxi, mentre al Quirinale Sandro Pertini sta lasciando il posto a uno come Francesco Cossiga: avremmo dovuto capirlo che sarebbe finita una merda. Nel 1992 ho sei anni e scoppia Tangentopoli. Ho 8 anni quando Silvio Berlusconi fonda Forza Italia e “scende in campo”. È il 1994. I miei nonni non amavano Berlusconi: ogni volta che sui canali dell’allora Fininvest partiva la pubblicità, mio nonno diceva: “Berlusconi! Sempre a far soldi!”.

Nel 2003 non ho idea di cosa fare nella vita e – come tutti quelli che non hanno idea di cosa fare nella vita – mi iscrivo a Giurisprudenza. Trovo un lavoretto che mi permette di guadagnare due soldi: la domenica mattina vado a vendere copie del quotidiano cattolico Avvenire fuori dalle chiese. Sono gli anni in cui esplode la freepress: quotidiani distribuiti gratis perché inzeppati di pubblicità. Per me è dura spiegare alla gente che mi sfila Avvenire di mano pensando sia gratis che invece devono pagarlo e finisce che mi bestemmiano addosso accusandomi di truffa. È stato il mio primo lavoro nel campo editoriale. Davvero, avrei dovuto capirlo che sarebbe finita una merda. Ho 20 anni nel 2006, sotto il governo Prodi: un apostrofo rosa tra due governi Berlusconi. In quell’anno le mie vignette compaiono su importanti quotidiani nazionali vicini alla sinistra, come l’Unità e Liberazione. Entrambi falliti e chiusi, come la sinistra.

Nel 2009 ne ho 23 di anni e trovo il mio primo e unico lavoro: vignettista in un nuovo quotidiano nazionale che vede la luce il 23 settembre di quell’anno. Si chiama Il Fatto Quotidiano e sarà molto amato e molto odiato, spesso dalle stesse persone in diverse fasi lunari. Siamo in epoca berlusconiana e io sorrido sereno: ho davanti un ventennio buono di vignette facili con il Silvio nazionale. Ma tre anni dopo, nel 2011, il Berlusconi politico si suicida con un cocktail di crisi economica e scandali sessuali. Ho solo 26 anni. Sono rovinato.

I 30 anni li ho compiuti nel mezzo degli anni fratricidi: prima i tecnici di Monti e poi il triplete Letta-Renzi-Gentiloni. Un turbinio di violenza e caos degno delle lotte tra gli eredi di Carlo Magno. Solo che quelli si litigavano il Sacro Romano Impero, questi il Pd. Compio i 33 anni sotto il governo Conte sostenuto da M5S-Lega. I 34 sotto il governo Conte sostenuto da M5S-Pd. I 35 sotto il governo Conte sostenuto dal Coronavirus, poi sostituito in corsa dal “Governo dei Migliori” di un tizio che si chiama Mario Draghi. Ho paura del futuro, come tutta la mia generazione, finché faccio due conti e mi rendo conto che il futuro è già finito.

Pubblicato per Piemme da Mondadori Libri S.p.A.©️ 2021 Mondadori Libri S.p.A., Milano

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