L'impegno globale

40 miliardi in azioni per la parità di genere: l’impegno di governi e privati

Si è conclusa la settimana di eventi del Generation Equality Forum convocato a Parigi da Un Women. Per tutti (comprese Kamala Harris e Hillary Clinton) è tempo di passare dalla retorica ai fatti, perché se si continua così “più di 2.1 miliardi di donne e ragazze vivranno in paesi che non avranno raggiunto nessuno degli obiettivi entro il 2030. E nessuna vivrà in un paese che li ha raggiunti tutti”

7 Luglio 2021

1995. A Pechino si tiene la quarta conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulle Donne, dopo quelle di Città del Messico nel 1975, Copenaghen nel 1980 e Nairobi nel 1985. Sono tutte cruciali per definire i temi critici intorno alla parità fra i sessi e allo status delle donne nel mondo, ma quella di Pechino introduce i concetti, poi relativamente acquisiti ovunque, di empowerment e mainstreaming, stabilisce il principio della parità fra i sessi e la lotta alla discriminazione delle donne come valore fondamentale e partorisce una Piattaforma di Azione in 12 aree.

Quel piano di lavoro e la dichiarazione conclusiva di quella conferenza sono considerate la “Carta dei diritti” internazionale per le donne, con il fondamentale passaggio che definisce i diritti delle donne come diritti umani e individua i settori su cui agire per ottenere la parità.

Sono passati 26 anni da quell’appuntamento, con il suo carico entusiasmante di impegni e speranze. Cosa è cambiato? Qual è il bilancio di quello sforzo?

Il quadro è in chiaroscuro, e non è una sorpresa visto che alla radici degli interventi previsti da quella conferenza c’era la vittoria sullo stigma culturale, cioè la sfida che richiede i tempi in assoluto più lunghi.

Un bilancio critico lo ha fatto il recente Generation Equality Forum convocato a Parigi da Un Women, una settimana di eventi che si è appena conclusa. Fra gli speaker anche la vice presidente Usa Kamala Harris, che ha ribadito l’impegno pro gender equality della sua amministrazione, e Hillary Clinton, che da First Lady nel 1995, in un intervento a Pechino che allora era apparso dirompente al punto da sollecitare la censura delle autorità cinesi, aveva appunto fatto coincidere la difesa dei diritti delle donne con quella dei diritti umani.

L’executive Summary del Generation Equality Forum lo dice esplicitamente: è tempo di passare dalla retorica ai fatti, perché se si continua così “più di 2.1 miliardi di donne e ragazze vivranno in paesi che non avranno raggiunto nessuno degli obiettivi di parità entro il 2030. E nessuna vivrà in un paese che li ha raggiunti tutti”.

Le aree critiche affrontate dalle The Generation Equality Action Coalitions con un piano di intervento sono sei: violenza di genere; giustizia economica e diritti; autonomia del corpo e e diritti sessuali e riproduttivi; attivismo femminista per la giustizia climatica; tecnologia e innovazione per la parità di genere; movimenti femministi e leadership. Sull’ultimo punto fa male ricordare che, secondo dati del forum, servono 135.6 anni prima che le donne in tutto il mondo raggiungano la parità salariale o di leadership con gli uomini. Allo stato attuale le donne sono circa un quarto dei manager, parlamentari e negoziatori su cambiamento climatico e accordi di pace, ha ricordato il direttore esecutivo di Un Women Phumzile Mlambo-Ngcuka. Che ha aggiunto: “Un quarto non è parità. Parità è la metà”.

Su tutto, la consapevolezza che “troppo poco è cambiato” e che il Covid-19 ha esacerbato l’ineguaglianza di genere: gli ultimi due anni di pandemia hanno colpito in modo sproporzionato le donne rispetto agli uomini, con un arretramento di condizioni e conquiste con cui si dovranno fare i conti a lungo.

Consapevolezza condivisa al Forum, sintetizzata dal presidente francese Macron che ha definito il Covid “un virus antifemminista”.

Ma, anche grazie all’impatto del Covid, a 26 anni da quelle promesse sta emergendo con chiarezza un tema trasversale: le ripercussioni economiche della disparità di genere e le conseguenze a lungo termine di una organizzazione sociale squilibrata fra i sessi non sono sostenibili, e Stati e privati sono disposti a investire per combatterli. La somma promessa, da governi e privati, è di 40 miliardi di dollari in azioni per la parità, la più alta mai dedicata alla causa, segno, si spera, di un risveglio concreto di coscienza e consapevolezza.

E infatti, per evitare nuove promesse a vuoto, è cambiato il meccanismo di presentazione delle proposte, che devono essere “chiare, quantificabili” e apportare progressi verificabili in una delle sei aree di intervento.

“Basta chiacchiere”, ha concluso il suo intervento Shantel Marekera, attivista dello Zimbabwe e membro della task force dei giovani delle Nazioni Unite.

Speriamo.

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