La denuncia della Lav

Sussidi alla zootecnia: un rubinetto sempre aperto (a discapito di salute, economia ed etica)

Nei 5 anni tra il 2014 e il 2019, sono stati assegnati ad allevatori e produttori italiani quasi 48 milioni di euro, oltre agli aiuti devoluti per le patinate campagne pubblicitarie. Gli alimenti vengono proposti come provenienti da animali ‘felici’ che vivono in scenari idilliaci, ma che quasi sempre conducono la loro esistenza in stato di estrema contenzione

Di Paola Segurini (LAV Scelta Vegan)
18 Maggio 2021

Gli impatti del ciclo di “produzione” della carne pesano sul Pianeta, sulla salute collettiva e sull’economia anche tramite cospicui aiuti e sussidi alla filiera zootecnica. Il 23 ottobre scorso, il Parlamento Europeo ha fissato la sua posizione sulla riforma della Politica Agricola Comune (PAC) per il periodo 2021-2027, in cui confluirà circa un terzo del bilancio comunitario, vale a dire 357 miliardi a partire dal 2023. Di questi gran parte andranno alla zootecnia. E non è una novità.

Tramite la PAC, nel 2019 sono stati destinati premi per le vacche da latte per 71.300.487 euro, per le vacche nutrici (zootecnia da carne) per 38.710.322 euro e 63.566.423 euro per i bovini macellati.

Solo fra marzo e maggio 2020 sono stati resi spendibili 14,5 milioni di euro per i comparti suini, ovini e bufalini oltre ai 100 milioni di euro del Decreto-Legge “Cura Italia” al comparto allevamenti e pesca.

Non sono da trascurare inoltre gli aiuti devoluti per le patinate campagne pubblicitarie di carne o altri cibi di origine animale.

Un rapporto, diffuso nei giorni scorsi da Eurogroup For Animals compone, ad esempio, un ampio e dettagliato resoconto delle campagne cofinanziate tramite l’Agenzia CHAFEA (Consumers, Health, Agriculture and Food Executive Agency) organismo della Commissione europea già responsabile della gestione di quattro programmi UE, uno dei quali è il programma di promozione dei prodotti agroalimentari anche in nuovi mercati.

Nei 5 anni tra il 2014 e il 2019, sono stati assegnati ad allevatori e produttori italiani un totale di quasi 48 milioni di euro. I calcoli effettuati riferiti alle realtà del nostro Paese comunicano cifre consistenti, si parla di € 2.100.572 per la carne bovina, € 8.384.127per il comparto suino, € 745.909 per il settore avicolo, € 12.558.984 a favore della promozione dei latticini (esclusi i formaggi, che da soli hanno goduto di € 15.095.327). Le campagne pubblicitarie per le carni lavorate, i salumi e il prosciutto, sono state finanziate da per € 6.619.571, mentre € 2.100.572 sono finiti nella pubblicità di carne di coniglio o di selvaggina.

Tramite CHAFEA, l’Europa finanzia tra il 70% e l’85% dei programmi di promozione, lasciando il resto alle entità richiedenti il sussidio, in genere consorzi di produttori rappresentativi dell’alimento “di qualità” in questione. Tali alimenti vengono proposti come provenienti da animali felici che vivono in scenari idilliaci, ma che quasi sempre conducono la loro esistenza in stato di estrema contenzione.

Un esempio? La campagna Viva il vitello “Un bovino giovane che in Europa è allevato fino ad otto mesi per rinnovare la mandria o per la carne, apprezzatissima per il consumatore per la sua tenerezza e il colore chiaro” (come descritto sul sito del progetto), ha ricevuto parte dei 2.100.572 € destinati alla carne bovina. O l’aiuto considerevole agli allevamenti e ai produttori di carne suina, con finanziamenti in corso che ammontano, in base ai dati del Rapporto, a 3.326.633 € solo per le tre campagne EAP, SALPIA e EJAB.

Il consumo di carne, incentivato e promosso con i fondi europei, grava soprattutto sugli animali, infiniti e vulnerabili cloni uno dell’altro, trasformati – in virtù di sempre più precise selezioni genetiche mirate alla massima resa col minimo sforzo, accompagnate da continui ingravidamenti meccanici, usure rapide e incessanti – in articoli di consumo, prodotti a ritmi incessanti e spezzettati per la vendita. Il loro benessere, di cui si parla tanto, è anch’esso – nei principi minimi che lo governano – assoggettato in primis alla qualità del “prodotto” destinato alla tavola.

Non si tratta, tuttavia, di soli aspetti etici. La ricerca Carissima Carne, commissionata da LAV a Demetra, ha individuato che – solo in termini di impatto ambientale – il “costo” di 1 kg di maiale, a seconda della lavorazione, varia tra i 4,9 e i 5,1 €. Sono proprio i salumi a generare i maggiori costi sulla collettività dato l’elevato consumo in Italia (39%) e gli alti costi sanitari rispetto agli altri tipi di carne.

Da qualsiasi parte lo si guardi, non si può prescindere dal denunciare l’assoluta insostenibilità – ambientale, sanitaria, economica ed etica – dell’attuale sistema alimentare. Gli impatti del ciclo di produzione della carne pesano sul Pianeta, sulla salute collettiva e sull’economia anche tramite i cospicui aiuti e sussidi devoluti alla zootecnia.

In questo scenario la LAV agisce con le sue richieste, quali l’attivazione di piani locali di sostituzione progressiva delle proteine animali con le corrispettive vegetali, anche in applicazione ed ampliamento dei Criteri Ambientali Minimi della ristorazione collettiva pubblica. L’associazione si muove inoltre per la riduzione progressiva – fino a rimozione totale – dei finanziamenti pubblici al sistema zootecnico, per l’abbassamento dell’IVA dal 22% al 4% su tutti gli alimenti vegetali e per l’attivazione di leve fiscali – come una ‘meat tax’ – che armonizzino il prezzo della carne con i reali costi ambientali e sanitari che essa genera.

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