Il reportage

Ungheria, patto con Pechino. Stop all’Ateneo di Soros, Orbán punta su quello del Dragone

Di Corentin Léotard
22 Febbraio 2021

È nel sud di Pest, sulla riva sinistra del Danubio, nei pressi dell’isola di Csepel, che il governo ungherese costruirà la “città universitaria di Budapest”. È qui che, entro il 2024, aprirà anche una sede distaccata dell’università cinese d’élite Fudan, di Shangai. Nell’ottobre 2019, il premier Viktor Orbán aveva incontrato il presidente della Fudan e, il 16 dicembre, era stato firmato un memorandum con il Ministero ungherese per l’Innovazione e la Tecnologia. L’Ungheria investirà nel progetto 821 milioni di fiorini (2,3 milioni di euro). Un progetto faraonico per il paese, che conta dieci milioni di abitanti. La Fudan University formerà tra 5.000 e 6.000 studenti in quattro corsi di laurea, economia, relazioni internazionali, medicina e ingegneria, per un totale di più di 20.000 studenti.

Da parte sua, la Central european university, fondata dal miliardario George Soros, regolarmente nel mirino del governo ungherese, aveva deciso nel 2019 di spostare la maggior parte delle sue attività a Vienna, nella vicina Austria. A parte una business school aperta da Pechino a Oxford, nel 2019, la Fudan University sarà il primo ateneo cinese in Europa. E non sorprende che aprirà proprio in Ungheria: le relazioni tra Budapest e Pechino sono eccellenti. “L’apertura del campus potrebbe promuovere gli investimenti cinesi in Ungheria e la creazione di centri di ricerca e di sviluppo per le aziende cinesi”, ha affermato il ministro ungherese dell’Innovazione e della tecnologia, László Palkovics. Il prestigio di cui gode Pechino agli occhi della destra nazionalista al potere è aumentato con la crisi sanitaria del Covid-19 e le consegne di materiale medico a volontà nella primavera del 2020. Viktor Orbán lo ha fatto sapere sin dal 29 gennaio scorso, in un intervento alla radio pubblica: da parte sua, si farà somministrare solo il vaccino cinese. “È quello di cui mi fido di più”, aveva spiegato. Lo stesso giorno, il suo ministro degli Esteri, Péter Szijjártó, ha annunciato la firma di un contratto con la cinese Sinopharm per la consegna di cinque milioni di dosi, sufficienti per vaccinare un quarto della popolazione ungherese. Si aggiungeranno due milioni di dosi già ordinate del vaccino russo Sputnik V, le cui consegne sono già iniziate e si prolungheranno fino alla fine di aprile. L’Ungheria che, con circa 13 mila morti di Covid, registra un tasso di mortalità superiore a quello della Francia (1.300 morti per 1.200 abitanti, secondo l’istituto Johns-Hopkins), non ha aspettato la Commissione europea, che voleva armonizzare le strategia vaccinale degli stati membri. Dal suo ritorno al potere nel 2010, il partito di Orbán, Fidesz, ha fatto dell’“apertura all’est” il nuovo pilastro della politica estera ungherese, con l’obiettivo di sviluppare gli scambi in particolare con l’Asia centrale e orientale, riducendo così la sua dipendenza dagli altri paesi europei. “Navighiamo con padiglione occidentale, ma il vento soffia a est”, ha detto Orbán. Noto in Europa per le sue uscite nazionaliste, il leader ungherese cambia volto quando si tratta di relazioni internazionali. Quando è al fianco di al-Sisi, al Cairo, prende le distanze da un Occidente che sa solo dare lezioni, mentre “l’Ungheria – sottolinea – non ha un passato coloniale”. In Egitto si mostra lieto anche di incontrare l’imam della moschea Al-Azhar, un alto rappresentante religioso perché, dirà poi al suo rientro in Ungheria, “l’Islam è una grande civiltà e il mondo musulmano non può essere assimilato ai migranti”. Quando è in Cina esalta le radici asiatiche dell’Ungheria che, dice, tutti ci invidiano adesso, dopo essere state a lungo derise in Europa.

Per nutrire le sue relazioni con l’Asia centrale, Orbán ha fatto aderire l’Ungheria al Consiglio turco degli stati turcofoni avanzando la dubbia origine turco-mongola degli ungheresi, “discendenti dei figli di Attila”, una delle tesi privilegiate dall’estrema destra antisemita per prendere le distanze dall’Occidente. “È ormai chiaro che il vecchio ordine mondiale, il cui dogma era che il denaro e la conoscenza provenissero dal ricco e potente Occidente per riversarsi verso i paesi poveri dell’Est, è crollato”, ha dichiarato al vertice del Consiglio turco, in Kirghizistan, nel settembre 2018. Naturalmente è la Cina che solleva le passioni di Orbán. Il governo ungherese aderisce pienamente al progetto geo-strategico delle “nuove vie della seta”, che potrebbe aprire nuovi sbocchi commerciali con il continente africano ed europeo. È membro entusiasta del format “17 + 1”, la piattaforma di cooperazione tra la Cina e i paesi dell’Europa centrale e orientale, che sperano di passare da una posizione periferica all’interno del mondo transatlantico a una posizione centrale nel mondo eurasiatico. “Non abbiamo mai vissuto il ruolo di leadership della Cina nel nuovo ordine mondiale come una minaccia, ma come un’opportunità”, ha detto il ministro degli Esteri ungherese, Péter Szijjártó, nel summit del novembre 2017 a Budapest. L’ultimo si è tenuto il 9 febbraio in videoconferenza. Nell’ambito di questa strategia, la linea ferroviaria Budapest-Belgrado, capitale della Serbia, a 400 chilometri di distanza, sarà rinnovata per diventare una linea ad alta velocità, la prima in Ungheria. Un consorzio sino-ungherese sta realizzando i lavori, finanziati all’85% (2,5 miliardi di euro) dallo stato cinese sulla tratta ungherese. La Cina se ne servirà per trasportare le sue merci che entrano in Europa via il porto greco del Pireo. “L’Ungheria offrirà la via di trasporto più veloce per le merci cinesi tra il sud-est e l’ovest dell’Europa”, ha detto Péter Szijjártó, entusiasta. Tuttavia, non bisogna sopravvalutare troppo questa nuova influenza cinese sull’Ungheria. Stando al governo ungherese, che vuole dimostrare che la sua diplomazia, molto criticata dai partiti di opposizione, funziona, il valore degli investimenti diretti dalla Cina nel paese ammonta a cinque miliardi di euro. Ma il mondo universitario è scettico. Se si escludono le acquisizioni di società straniere da parte della Cina in Ungheria, gli investimenti cinesi risultano meno di due miliardi di euro. “Se c’è una reale volontà politica da parte dell’Ungheria e della Cina, la cooperazione tra i due paesi si scontrerà con i limiti dell’economia ungherese. L’Ungheria ha poco da offrire alla Cina”, ha spiegato Pawel Paszak, esperto di Cina, in un podcast realizzato per il think tank polacco Warsaw Institute. Più in generale, la politica estera di Fidesz di “apertura ad est” tarda a dare i suoi frutti: più dei tre quarti degli scambi commerciali del paese sono ancora realizzati con il il resto dell’Unione europea, parte che non è diminuita nell’ultimo decennio.

La luna di miele tra Pechino e Budapest non piace agli Stati Uniti. Durante il suo viaggio in Europa, nel febbraio 2019, l’allora segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, secondo quanto scritto dal Foreign Policy, lo aveva detto chiaramente: “Gli Stati Uniti sono stati assenti dall’Europa centrale troppo spesso negli ultimi tempi. I nostri rivali hanno riempito questo vuoto”. Durante una conferenza stampa Pompeo aveva aggiunto: “Ho fatto notare al mio partner ungherese che Russia e Cina non sono paesi amici della libertà delle piccole nazioni e cosa si rischia a permettere alla Cina di stabilire una testa di ponte strategica in Ungheria”. Péter Szijjártó non si era lasciato impressionare: “Non permetteremo a nessuno, che sia l’Unione europea o chiunque altro, di interferire nella nostra politica estera”. Si annunciano pessime le relazioni con l’amministrazione di Joe Biden, che i media pubblici ungheresi, sotto l’influenza del governo, ritengono responsabile delle rivolte del 6 gennaio a Capitol Hill. Le origini ungheresi del nuovo capo della diplomazia statunitense, Antony Blinken, non saranno d’aiuto. Budapest intende tenere testa a Washington sulla questione cruciale dello sviluppo della rete 5G, scommettendo su Huawei. Il gigante cinese delle telecomunicazioni possiede il più grande centro di approvvigionamento fuori dalla Cina vicino a Budapest e lo scorso autunno vi ha aperto un centro di ricerca e sviluppo.

(Traduzione di Luana De Micco)

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