La rassegna stampa internazionale

Il clima nelle mani di Biden (e del Senato): così i dem Usa possono aiutare la Terra

Il neo presidente ha promesso un piano economico da 2000 miliardi di dollari che accelererebbe una transizione verso l'energia pulita, taglierebbe le emissioni di carbonio dal settore elettrico entro il 2035 e raggiungerebbe zero emissioni nette entro il 2050

12 Gennaio 2021

Buone notizie e buone pratiche

Il controllo dei democratici sul Senato favorisce l’azione per il clima

I democratici hanno vinto i due ballottaggi del Senato di martedì in Georgia, conquistando il controllo del Senato degli Stati Uniti e plasmando in modo significativo ciò che il presidente eletto Joe Biden potrà realizzare sui cambiamenti climatici e altre questioni quando entrerà in carica. L’impegno dell’ex vicepresidente per l’azione per il clima include un ambizioso piano economico da 2000 miliardi di dollari che accelererebbe una transizione verso l’energia pulita, taglierebbe le emissioni di carbonio dal settore elettrico entro il 2035 e raggiungerebbe zero emissioni nette entro il 2050. “Il controllo democratico del Senato significa finanziamenti per l’azione per il clima e la transizione energetica attraverso stanziamenti e, potenzialmente, se si è molto ottimisti, una legislazione sul clima di grandi dimensioni con un certo livello di sostegno bipartisan”, ha detto Michael Burger, capo del Sabin Center for Climate Change Law presso la Columbia University.

Fonte: Cnbc

Ecco come il Pentagono potrebbe aiutare Biden sulla lotta al cambiamento climatico

Il Dipartimento della Difesa statunitense potrebbe offrire un appoggio importante al nuovo presidente sul tema del cambiamento climatico: un budget enorme per aiutare ad accelerare lo sviluppo di nuove tecnologie necessarie per frenare i gas serra e rafforzare le infrastrutture per proteggersi dal peggioramento degli impatti climatici. Il Pentagono è stato a lungo un cliente cruciale per le tecnologie energetiche pulite, guidando l’adozione del paese dell’energia solare e il lancio di batterie mobili. Ora, il suo budget di 700 miliardi di dollari potrebbe offrire un’opportunità per l’amministrazione Biden, aiutando industrie a crescere, come quelle che producono veicoli elettrici e batterie avanzate. Il Pentagono ha contribuito a far ripartire l’industria solare statunitense nel 2007, quando l’Air Force ha stipulato un contratto per la costruzione di un parco solare da 14 megawatt presso la Nellis Air Force Base in Nevada, allora il più grande impianto del suo genere nel paese. Da allora, l’industria ha costruito progetti solari più di 40 volte quella dimensione, e l’esercito è stato uno dei suoi maggiori clienti, aggiungendo più di 130 megawatt alle basi in quasi tre dozzine di stati.

Fonte: Politico.com

Chiuso buco dell’ozono da record sopra l’Antartide

Il buco dell’ozono antartico da record del 2020 si è finalmente chiuso alla fine di dicembre dopo una stagione eccezionale a causa delle condizioni meteorologiche naturali e della continua presenza di sostanze che riducono lo strato di ozono nell’atmosfera. “Le ultime due stagioni dimostrano la variabilità di anno in anno del buco dell’ozono e migliorano la nostra comprensione dei fattori responsabili della sua formazione, estensione e gravità”, ha affermato Oksana Tarasova, capo della World Metereological Association Atmospheric Environment Research Division. “Abbiamo bisogno di un’azione internazionale continua per applicare il protocollo di Montreal sulle sostanze chimiche che riducono lo strato di ozono”, ha affermato sempre Tarasova. Il Protocollo di Montreal è lo storico accordo ambientale multilaterale che regola la produzione e il consumo di quasi 100 sostanze chimiche denominate sostanze che riducono lo strato di ozono (Ods).

Fonte: World Metereologica Organization

Carta e cartone protagonisti del packaging del futuro

La ricerca “I nuovi modelli di consumo e la riprogettazione del packaging: la scelta di materiali sostenibili nell’era dell’economia circolare”, condotta dall’Istituto di management della Scuola superiore di studi universitari e perfezionamento Sant’Anna, e pubblicata a dicembre 2020 da Comieco (Consorzio nazionale recupero e riciclo degli imballaggi a base cellulosica) mostra come il mondo del packaging viva un periodo di forte spinta evolutiva, verso una riprogettazione ispirata ai principi dell’ecodesign, con l’utilizzo di materiali sostenibili provenienti da materie prime rinnovabili e facilmente recuperabili e riciclabili. Rispetto ai principi propri dell’economia circolare, questo significa progettare prodotti facilmente smontabili, riciclabili, riutilizzabili o rigenerabili rispetto i quali siano semplificate le attività di recupero e riciclo, ma è possibile ottenere benefici ambientali in ogni fase della intera filiera. Oltre a materiali già noti come la polpa di cellulosa, la bagassa e le bio-plastiche, si affacciano sul mercato materiali altamente innovativi come i nanomateriali e in particolare la nanocellulosa. Questi materiali trovano crescente impiego nel comparto del food packaging, prestandosi, grazie alle loro caratteristiche, alla produzione di imballaggi e di prodotti monouso, generalmente in sostituzione della plastica.

Fonte: Asvis

Le denunce

Piano Nazionale Ripresa e Resilienza, insorgono gli ambientalisti

“Da mesi chiediamo un Piano Nazionale Ripresa e Resilienza ‘partecipato’ per evitare un Piano ‘delle partecipate’, come alcune indiscrezioni delle ultime settimane lasciavano temere. Leggendo la seconda bozza del Piano, datata 29 dicembre, siamo stati ampiamente smentiti. Abbiamo, infatti, a che fare con un piano che contiene diverse misure che sembrano scritte sotto dettatura solo da una azienda parzialmente statale, ossia Eni. Dal documento che è circolato nelle ultime ore emerge che l’azienda partecipata è riuscita a far inserire progetti di confinamento geologico della CO2 a Ravenna e presunte bioraffinerie. Troviamo davvero sconcertante che a un’azienda a parziale capitale pubblico che fattura ogni anno 70 miliardi di euro, sia permesso di farsi finanziare i propri progetti con soldi dei contribuenti europei”. È quanto denunciano Greenpeace, Legambiente e Wwf che commentano così la bozza di Piano Nazionale Ripresa e Resilienza. Le tre associazioni rivolgono inoltre un appello preciso all’esecutivo: “Chiediamo che il governo garantisca l’interesse pubblico generale del piano non trasformandolo in un veicolo finanziario a vantaggio di privati che hanno chiari interessi a dilazionare la transizione energetica rallentando il definitivo superamento dei combustibili fossili. L’attuale piano industriale di Eni non è in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e rimanda le riduzioni delle emissioni di CO2 a dopo il 2030, cosa gravissima se si tiene conto che le emissioni globali dell’azienda sono superiori a quelle dell’Italia”.

Fonte: La Nuova Ecologia

Wwf: “Sui rifiuti nucleari servono trasparenza e partecipazione”

“A oltre 30 anni dal referendum che chiuse il nucleare in Italia, e a quasi 10 anni dalla netta e saggia reiterazione della volontà popolare di non avere impianti nucleari nel nostro Paese, si avvia oggi formalmente il percorso che dovrebbe individuare la sede del deposito nazionale per i rifiuti radioattivi. È doverosa una assunzione di responsabilità nella gestione dell’ultima fase dell’uscita del nucleare, senza far ricadere questo compito sulle prossime generazioni. Proprio in quest’ottica viene da chiedersi se si sia fatto il giusto approfondimento su una soluzione europea che potesse consentire al nostro paese di gestire le scorie delle centrali insieme a quelle di altri paesi che hanno scelto di continuare a usare l’energia nucleare e si troveranno a gestire quantità di scorie molto maggiori di quelle italiane”. Così il Wwf commenta il piano del governo sui siti per le scorie nucleari. “Posto che il trattamento sicuro delle scorie, come quelle di III categoria, non ha trovato una soluzione definitiva in nessuna parte del mondo, ci saremmo aspettati la presentazione di un ventaglio di soluzioni meglio argomentate da differenti scenari e criteri: la fiducia dei cittadini, fondamentale ancor più su un tema tanto sensibile, si conquista solo con un reale processo di partecipazione delle comunità locali”.

Fonte: Wwf

La Regione Lazio dà il via libera al progetto di “Terminillo Stazione Montana”

“L’emergenza rappresentata dal cambiamento climatico non esiste alla regione Lazio perché con un comunicato del 1 gennaio gli assessori all’Urbanistica e al Lavoro hanno comunicato il parere favorevole della valutazione di incidenza ambientale del progetto denominato Tsm2, ovvero della realizzazione di nuovi impianti di risalita e piste da sci nel Monte Terminillo, anticipando in modo inusuale l’imminente arrivo del parere definitivo della Via (valutazione d’Impatto ambientale”: lo dichiarano i coordinatori nazionali di Verdi e di Europa Verde. “Il progetto denominato Tsm 2 (Terminillo stazione montana) prevede 10 nuovi impianti di risalita; due bacini per l’innevamento artificiale pari a 136mila metri cubi; 37 km di piste da sci; il taglio di 17 ettari di faggeta vetusta tra i 150 e 200 anni, ma con alcuni esemplari che potrebbero arrivare ai 400 anni; circa 8,7 km di trincee su praterie non riproducibili. Il tutto in un’area che prevede la presenza di aquila reale, lupo, orso, e che doveva essere candidata a sito Unesco proprio per le sue antiche faggete. Il cambiamento climatico in corso sembra non esistere nelle valutazioni fatte dalla Regione Lazio per l’autorizzazione concessa a questo progetto ad alto impatto ambientale che insiste in zone a conservazione speciale tutelate dall’Unione Europea da una specifica direttiva”. I coordinatori annunciano la presentazione di un ricorso presso l’Unione Europea e l’attivazione del gruppo parlamentare Verde in Europa.

Fonte: Verdi.it

Studi e ricerche

Gli edifici di legno nelle città possono assorbire carbonio

La valutazione delle possibilità di stoccaggio del carbonio negli edifici di legno a carattere residenziale viene presentata da quattro ricercatori finlandesi con l’articolo Cities as carbon sinks – classification of wooden buildings, pubblicato su Environmental Research Letters, con il quale esaminano un’ampia serie di pubblicazioni attraverso cui confrontare 50 costruzioni di legno provenienti da tutto il mondo. Lo studio mostra molti casi in cui le emissioni di anidride carbonica per la costruzione di edifici di legno sono risultate inferiori in misura più o meno ampia alla CO2 all’interno della materia prima. La variabile costruttiva può portare a quantità molto diverse di stoccaggio di CO2, comprese tra 100 e 300 kg di CO2 per metro quadrato (kg CO2/m2), in funzione del numero e del tipo di elementi lignei impiegati. Partendo dal presupposto che le foreste nel nostro continente vengono gestite in modo sostenibile e che gli edifici con altri materiali da costruzione producono solo emissioni di CO2 e non stoccaggio, uno scenario piuttosto ambizioso ipotizzato dai ricercatori, dovrebbe condurre l’Europa per i prossimi 20 anni a politiche indirizzate a favorire un andamento crescente delle costruzioni di legno, per passare dall’attuale 10% circa, corrispondente a 2 milioni di tonnellate di CO2 stoccata per anno, a una quota dell’80% nel 2040 pari a 55 milioni di tonnellate/anno, fornendo così in maniera continuativa un importante contributo alla riduzione del gas serra.

Fonte: Sisef

Le emissioni passate sono già sufficienti per annullare i target climatici internazionali (anche se non tutto è perduto)

Per decenni, gli scienziati hanno parlato del cosiddetto “riscaldamento impegnato” o dell’aumento della temperatura futura sulla base delle emissioni passate di anidride carbonica che rimangono nell’atmosfera per oltre un secolo. È come la distanza percorsa da un’auto in corsa dopo aver applicato i freni. Ma lo studio di lunedì sulla rivista Nature Climate Change lo calcola in modo leggermente diverso e ora spiega che l’inquinamento da carbonio già immesso nell’aria spingerà le temperature globali a circa 2,3 gradi Celsius (4,1 gradi Fahrenheit) di riscaldamento dai tempi preindustriali. Le stime precedenti, comprese quelle accettate dai panel scientifici internazionali, erano di circa un grado Celsius (1,8 gradi Fahrenheit) inferiore a quella quantità di riscaldamento impegnato. Tuttavia, anche se il mondo è destinato a ottenere più riscaldamento rispetto agli obiettivi internazionali, ciò non significa che tutto sia perduto nella lotta contro il riscaldamento globale. Se il mondo arriva presto a zero emissioni nette di carbonio, 2 gradi di riscaldamento globale potrebbero essere ritardati abbastanza da non accadere per secoli, dando alla società il tempo di adattarsi o persino di trovare soluzioni tecnologiche.

Fonte: Apnews

Le città del futuro saranno invivibili per il caldo, dice uno studio

A prescindere dal dibattito città vs campagna, le leggi oggettive della termodinamica stabiliscono che le città perderanno almeno su un fronte: tendono a diventare insopportabilmente più calde, più delle zone rurali circostanti. Questo a causa dell’effetto isola di calore urbana, in cui edifici e strade assorbono prontamente l’energia del sole e la rilasciano fino a tarda notte. Il verde delle zone rurali, invece, fornisce ombra e raffredda l’aria rilasciando acqua. Il cambiamento climatico sta rendendo l’effetto isola di calore urbana ancora più disastroso nelle città di tutto il mondo, e non farà che peggiorare. Un team internazionale di ricercatori ha utilizzato una nuova tecnica di modellazione per stimare che entro il 2100 le città del mondo potrebbero riscaldarsi in media fino a 4,4 gradi Celsius. In prospettiva, questa cifra cancella l’obiettivo ottimistico dell’accordo di Parigi. Fino a questo punto, i modelli climatici globali hanno avuto la tendenza a snobbare le aree urbane, e per una buona ragione, poiché costituiscono solo il 3% della superficie terrestre del pianeta.

Fonte: Wired

Covid-19 e cambiamento climatico, due crisi intrecciate da loro

Entrambe le crisi globali, covid-19 e cambiamento climatico, avranno un impatto duraturo sulla salute e sulla qualità della vita, specialmente per le comunità diverse e a basso reddito che hanno già colpito più duramente. Lo stesso inquinamento atmosferico da particelle fini, noto come Pm 2.5, causato principalmente dalla combustione di combustibili fossili, è collegato a tassi di morte più elevati di Covid-19 tra le persone che vivono in aree inquinate. Il cambiamento climatico è anche responsabile della proliferazione di malattie zoonotiche, come il Covid-19, poiché siccità, inondazioni e condizioni meteorologiche estreme costringono la produzione di cibo a invadere gli habitat popolati da pipistrelli, scimmie e altri animali selvatici portatori di virus. Indipendentemente dal fatto che la pandemia di Covid-19 alla fine rafforzi o ostacoli le prospettive per gli Stati Uniti e l’azione per il clima globale, le due crisi rimangono inestricabilmente collegate.

Fonte: Inside Climate News

Gli ecosistemi assorbono sempre meno Co2

Gli ecosistemi terrestri attualmente svolgono un ruolo chiave nella mitigazione del cambiamento climatico. Più le piante e gli alberi assorbono anidride carbonica (CO2) durante la fotosintesi, il processo che usano per produrre il cibo, meno CO2 rimane intrappolata nell’atmosfera, dove può far salire le temperature. Ma gli scienziati hanno identificato una tendenza inquietante: con l’aumento dei livelli di CO2 nell’atmosfera, l’86% degli ecosistemi terrestri a livello globale sta diventando progressivamente meno efficiente nell’assorbirlo. Poiché la CO2 è un ‘ingrediente’ principale di cui le piante hanno bisogno per crescere, concentrazioni elevate di essa causano un aumento della fotosintesi e, di conseguenza, la crescita delle piante – un fenomeno giustamente indicato come effetto di fertilizzazione con CO2, o Cfe. Il Cfe è considerato un fattore chiave nella risposta della vegetazione all’aumento della CO2 atmosferica, nonché un meccanismo importante per rimuovere questo potente gas serra dalla nostra atmosfera, ma potrebbe cambiare. “In questo studio, analizzando i migliori dati a lungo termine disponibili dal telerilevamento e da modelli di superficie terrestre all’avanguardia, abbiamo scoperto che dal 1982 la Cfe media globale è diminuita costantemente dal 21% al 12% per 100 ppm di CO2 nell’atmosfera”, ha detto Ben Poulter, coautore dello studio e scienziato presso il Goddard Space Flight Center della Nasa. “In altre parole, gli ecosistemi terrestri stanno diventando meno affidabili come mitigatore temporaneo del cambiamento climatico”.

Fonte: Nasa

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