In prima persona

Dopo anni di botte mio marito mi ha dato fuoco: non accettava la mia indipendenza

Parvinder Kaur Aoulakh si fa chiamare Pinky. Indiana di nascita, arrivata in Italia a 6 anni, è stata vittima di un matrimonio combinato e di un uomo violento. Nel 2015 è sopravvissuta grazie all'intervento dei vicini. Oggi porta in giro la sua testimonianza per dare sostegno alle donne maltrattate

Di Parvinder Kaur Aoulakh
25 Novembre 2020

Mercoledì mattina si è svolto a Roma un importante appuntamento contro la violenza sulle donne: Antonella Ercolani, prorettrice dell’Università degli Studi Internazionali, ha voluto la testimonianza di Parvinder Kaur Aoulakh, una donna indiana cui cinque anni fa il marito violento ha dato fuoco. “A parole nostre” le ha chiesto un contributo scritto, affinché le sue parole possano rimanere bene impresse nella memoria di tutti.

Mi chiamo Parvinder Kaur Aoulakh, sono una vittima di violenza domestica e coordinatrice Brescia di Wall of Dolls.
Come si può notare dal mio nome sono di origine indiana: giunta in Italia all’età di 6 anni anni, ho completato i miei studi in Italia diplomandomi come perito aziendale corrispondente in lingue estere. A 20 anni mi fu combinato il matrimonio con un mio connazionale nato cresciuto e residente in India. Cresciuti in due paesi diversi logicamente avevamo due mentalità totalmente diverse nonostante fossimo entrambi indiani. Per lui la donna deve stare in casa, accudire i figli e tenere la famiglia unita a qualsiasi costo. Io invece ho sempre considerato la donna alla pari dell’uomo. Dopo il primo anno di matrimonio iniziarono i primi litigi, in particolare quando ebbi la mia primogenita, per tradizione indiana doveva essere un figlio maschio “l’erede”. La sua famiglia mi si rivoltò contro che già non era contenta della dote che avevo portato. Vivevo con mia suocera vedova in casa 24 ore su 24. Speravo che con l’arrivo del tanto desiderato figlio maschio le cose migliorassero ma ormai eravamo arrivati a un punto di non ritorno. I litigi iniziarono a essere sempre più frequenti, non accettava la mia indipendenza (io lavoravo ed ero automunita, lui invece disoccupato senza patente e non parlava italiano).
Inziò a essere violento… non solo verbalmente. Ogni volta mi faceva sentire sbagliata. Secondo lui e sua mamma mi meritavo quelle botte “perché è così che si fa con le mogli che rispondono ai mariti!”. Riuscì ad allontanarmi da tutti: dalle mie amiche, dai parenti e perfino dai miei genitori… mi rese debole… più di una volta cercai di lasciarlo ma ogni volta riusciva a farsi perdonare… ogni volta mi dicevo ‘stavolta cambierà’… Le cose andarono avanti peggiorando finché a luglio 2015 lui alzò le mani per la prima volta sui bambini. Lì non ho retto: ero decisa a denunciarlo, ma i parenti si riunirono e, nonostante i miei genitori fossero contrari, mi costrinsero a ritornare da lui e non denunciarlo. Da quel giorno nulla era più come prima, non provavo più nulla, nessun emozione, solo rassegnazione. Lui iniziò a fare anche uso di sostanze stupefacenti e quella notte del 20 novembre 2015, dopo l’ennesima lite per soldi, decise di liberarsi di me per sempre picchiandomi, umiliandomi e appicandomi fuoco davanti ai nostri figli di 5 e 3 anni. La fortuna ha voluto che i vicini stessero assistendo alla scena dal balcone. Mi spensero le fiamme, chiamarono i soccorsi e misero al riparo i bimbi. Sono stata in coma circa un mese e non ho idea di quanti interventi ho subito. Dopo tutto quello che ho subito molti hanno avuto il coraggio di dirmi di perdonarlo e di ritornare da lui! “Pensa ai tuoi figli! Guardati, sei un mostro! Come farai da sola? Sei un peso per tuo padre e per la tua famiglia! Sei una donna! Hai disonorato la tua famiglia!” e molto altro che evito di scrivere. Cercarono di farmi il lavaggio del cervello approfittando del mio stato confusionale, ma guardai mia figlia e pensai se lei si meritava questo… Era veramente una colpa nascere donna? Mi chiesi che esempio avrei dato ai miei figli ritornando da lui come se niente fosse. No, io non potevo fare questo a loro e non potevo farlo a me! Con il sostegno dei miei genitori lo denunciai! Chiesi la separazione e poi anche il divorzio.
Mi rimboccai le maniche e ripresi a lavorare, inizialmente facevo poche ore perché le mie condizioni di salute non mi permettevano molto. Mi misi degli obiettivi: dovevo zittire tante persone, dimostrare quanto valgono le donne e che possono farcela anche da sole. Dopo un anno andai ad abitare da sola con i miei figli, mi presi la macchina, tante piccole soddisfazioni.
Iniziai a portare in giro per l’Italia la mia testimonianza perché possa essere d’aiuto a tante donne come me. Iniziai a fare campagne di sensibilizzazioni, progetti con scuole, associazioni e centri antiviolenza. In uno di questi progetti conobbi Jo Squillo, cantante e fondatrice del movimento Wall of Dolls. Nacque subito una grande sintonia tra noi. Facciamo tantissimi progetti rivolti a scuole e giovani. Collaboriamo con associazioni, aziende e centri antiviolenza. Aiutiamo donne vittime di violenza e in particolare orfani di femminicidio facendo delle raccolte fondi. Al momento Wall of Dolls è presente a Milano, Genova, Roma, Brescia, Venezia e Trieste.

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