Geloy Concepcion - Il migrante re di Instagram

“Scrivimi le parole mai dette”. E il lavapiatti diventa una star

Confessioni dalla quarantena - Raccogliere e pubblicare online i segreti di persone senza nome: l’idea spopola durante il lockdown e per il ragazzo filippino è la svolta

Di Michela A.G. Iaccarino
28 Settembre 2020

Sulle cartoline americane della pandemia ci sono pensieri tristi. E dicono: “Ho mentito all’unica donna che amo”. “Non posso scegliere le memorie che rimangono”. “Vorrei non sentire la necessità di scrivere qui. Un giorno, forse”. “Sono fottutamente stanco di essere preso in giro”. “Mio padre ha perso il lavoro per il Covid-19 e, anche se mi sorride, gli leggo la paura negli occhi”. “Mi rendi sempre difficile perdonarti”. Sono alcune delle frasi che donne e uomini d’America hanno spedito nei giorni più bui del lockdown al lavapiatti che passa la vita tra i tavoli di un bar a San Francisco. Sono migliaia, le riflessioni d’Oltreoceano giunte al fotografo filippino che fa lo sguattero in California. Tutto è cominciato con un post di Instagram: la domanda, senza punto interrogativo, era “Cose che volevi dire e non hai mai detto”, formulata quando a seguire Geloy Concepcion non erano decine di migliaia di persone.

Raccogliere frasi e foto, scarti e i silenzi della terra a stelle e strisce che si è confessata a lui in modo anonima, è una forma d’arte e di indulgenza “per documentare la vita reale delle persone”, dice Geloy. Ha gli occhi scuri come i capelli e le sue fotografie, quando scatta in bianco e nero. Quasi sempre si immortala con sua figlia tra le braccia, come parte integrante del suo ritratto personale.Lo sguardo da straniero se l’è portato dietro da Manila: “Io sono il risultato dei primi 25 anni trascorsi in quella città, finché nel 2017, il giorno del compleanno di mia figlia, sono venuto a San Francisco in cerca di una vita diversa, siamo rinati insieme nello stesso giorno, ero un neonato anche io nel nuovo mondo in cui ero appena entrato”. Durante la quarantena obbligatoria, per via del lockdown, ha smesso di avvicinarsi alle persone per fotografarle. Allora ha suggerito che lo facessero da sole, nel periodo in cui il virus obbligava tutti alla solitudine. Alcune missive per Geloy dicono: “Durante la quarantena mi sono ritrovato a navigare nel mio passato, l’unico posto sicuro in cui possa andare”. “Al mio io giovane: ti perdono”. “Ho paura che non sarò mai coraggioso abbastanza per abbandonare questo posto”.

Sono traumi in forma scritta di destini gracili, frugali, ingenui, quasi tutti dolorosi, a volte dispersi per rabbia cronica: ma alcuni, nello spedire il loro dolore al fotografo, confessano di sentirsi liberati o “sollevati da un peso, che quando è condiviso con altri, diventa più leggero”, dice Geloy. Il collezionista di esistenze unisce lettere e foto che riceve, poi le rilascia nel web da dove sono venute, permettendo che si raggrumino dove tutti possano leggerle. Sono parole che gli sono arrivate addosso come una marea che non ha fermato, ma a cui ha dato un ordine.

L’idea del progetto gli è venuta mentre leggeva messaggi senza firma che “una mano segreta, in un luogo nascosto”, aveva scritto sui muri delle città che ha attraversato: “Piccole rivelazioni che non so chi ha composto”. Invece di collezionare frasi impresse su strade vere, sbarrate per il Covid-19, ha cominciato a camminare in quelle virtuali e c’è rimasto per un po’.

Altre note: “Molti genitori farebbero qualsiasi cosa per i loro figli, tranne lasciare che siano se stessi”. “Sono stato adottato e amato, ma non so a cosa appartengo”. “Nemmeno in un milione di anni augurerei ai miei nemici i demoni che ho in testa”. Geloy con testi ed immagini in arrivo dall’Alaska al Texas sta creando il “santuario”, la casa delle cartoline americane a cui sono stati affidati traumi che le persone non volevano più trascinarsi dietro, mentre il virus serpeggiava tra la popolazione. “Geloy: ritratti a distanza”: questo è il titolo dell’articolo dedicato al ragazzo di strada finito sul Philippine Star, uno dei giornali più venduti della patria che ha abbandonato per fame, povertà e qualcosa che chiama “vibrazioni e caos di Pandacan”, quartiere più duro di Manila, “dove sin dall’infanzia devi avere a che fare con le persone di strada”.

Con le cose che gli americani non hanno detto, non diranno e non si dicono, progetta di creare un libro, informa uno dei suoi ultimi post. Se gli chiedi durante l’intervista se ha qualcosa da confessare pure lui, come tutti quelli che l’hanno già fatto, risponde che se accadrà “aggiungerà una nota anonima, in mezzo a tutte le altre”.

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