brugnaro & C. - Oltre il covid

Venezia città chiusa: niente turisti? Allora niente musei

Sotto chiave quelli del Comune tranne Palazzo Ducale. Mentre le Gallerie dell’Accademia (statali) hanno già 10 mila visitatori

9 Luglio 2020

Vengono prima le spiagge o la cultura? Serve il ritorno di frotte di turisti per decidere di riaprire i musei o le sale che espongono patrimoni unici al mondo impongono comunque che il lockdown da pandemia non diventi un pretesto per mettere sotto chiave anche le bellezze artistiche? Meglio dar fondo agli utili accumulati in passato, per affrontare le spese da sanificazione, o aspettare come una manna salvifica i milioni di euro che arriveranno dal Ministero dei Beni Culturali, a ristoro dei mancati guadagni? Tante domande si addensano sopra il cielo di Venezia, nelle calli non ancora affollate, negli alberghi la cui recettività, al massimo, è coperta per il 20-30%. A porla, in modo anche ruvido, è Daniele Giordano, segretario generale Funzione Pubblica della Cgil. “Il sindaco Luigi Brugnaro lamenta il crollo del turismo e la crisi della città causa Covid-19, ma i musei civici li lascia desolatamente chiusi. Come pensa che i turisti possano ritornare se vengono meno i poli di attrazione culturale?”.

La questione non è di poco conto, mentre gli albergatori piangono, i commercianti temono fallimenti a raffica e i veneziani si interrogano sul loro futuro di grande luna park del turismo. Anche perché le Gallerie dell’Accademia, che sono statali, hanno appena licenziato un bilancio lusinghiero. Sono state tra i primi musei italiani ad aver riaperto i battenti e hanno già contabilizzato 10 mila visitatori, con un’apertura contingentata di 11 ore al giorno, sei giorni su sette. Poco importa se Giorgione lo si ammira indossando la mascherina, ciò che conta è poterlo fare. I Musei Civici invece sono chiusi. “Hanno riaperto negli ultimi weekend solo Palazzo Ducale, il Vetro a Murano e il Merletto a Burano. E il Correr, Ca’ Rezzonico, il Museo di Storia Naturale? – si chiede Giordano: Questa scelta priva Venezia e l’intera comunità nazionale della possibilità di accedere a fondamentali spazi di cultura, nonostante il ‘decreto Rilancio’ varato dal Governo destini 50 milioni ai musei civici, di cui 7-8 milioni potrebbero arrivare a Venezia”.

“Siamo pronti, ma flessibili. Ho appena parlato con albergatori, tour-operator e Aeroporto Marco Polo, siamo pronti a riaprire – replica Maria Cristina Gribaudi, presidente della Fondazione dei Musei Civici –. Abbiamo sanificato qualcosa come 40 mila metri quadrati. Così il Ducale è riaperto. Bisogna tener conto che Palazzo Fortuny e Ca’ Pesaro sono chiusi per danni da acqua alta”. Intanto però 400 lavoratori delle cooperative e 76 dipendenti della Fondazione sono in cassa integrazione. La Cgil prende lo spunto per un appello: “Il Comune di Venezia dovrebbe sostenere la piena e totale riapertura dei Musei Civici anticipando le risorse che arriveranno dai fondi nazionali. Non solo perché la scelta di tenerli chiusi ricade sui lavoratori e sembra dettata prevalentemente da ragioni economiche, ma perché non si può precludere la cultura alla popolazione, e la cultura diventa uno strumento per ripartire”.

Replica la presidente Gribaudi: “Non sono chiusi… sono apribili su richiesta di albergatori e tour operator. Siamo in attesa di un flusso turistico più importante”. La realtà è che al Casinò la pallina ha ripreso a girare nella roulette, mentre il Correr è ancora un museo-fantasma. In sesta commissione comunale, di fronte alle bordate dei sindacati, il segretario della Fondazione, Mattia Agnetti, ha ammesso: “Il passivo annuo stimato è di 7/8 milioni, ma potremo assorbire il colpo grazie alla gestione oculata degli anni precedenti e ai fondi statali”. E allora perché non riaprire? “Se il pubblico cresce, noi ci siamo” taglia corto la presidente Gribaudi.

In questa fase post-Covid si sono sprecati paragoni post-bellici. Ancora la Cgil: “L’amministrazione comunale parla di economia di guerra. La storia ci insegna che in situazioni di pericolo e instabilità, i governi e le amministrazioni cittadine si sono premurate di porre in sicurezza i beni culturali, avviando campagne di protezione, salvaguardia e catalogazione del patrimonio. Pertanto è singolare che proprio i conservatori e il personale tecnico-scientifico siano stati escluso dall’accesso al lavoro”. Perché le opere d’arte si proteggono non solo con il mantenimento della temperatura o dell’umidità dell’aria. “Si sono chiesti in Comune quanto l’assenza di monitoraggio delle opere e degli oggetti conservati possa aver comportato danno alle collezioni?”.

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