Urne e aule

La scuola apre 8 giorni dopo. Prima bisogna allestire i seggi

Election day - La maggioranza decide per il voto il 20-21 settembre. E per evitare ingorghi con l’inizio anno, si pensa al rinvio delle lezioni

12 Giugno 2020

Sono il 20 e 21 settembre le due date scelte dalla maggioranza per l’election day che unirà il voto in sette regioni, le amministrative in 1000 comuni e il referendum sul taglio dei parlamentari. Un “baricentro” rispetto al 6 settembre, come volevano i governatori, e il 27 chiesto dalle opposizioni. Con una conseguenza immediata, anche se non ancora ufficiale: per evitare di richiudere le scuole sedi di seggio ad appena tre giorni dalla ripresa delle lezioni, la riapertura delle aule slitterà direttamente a dopo il voto, probabilmente mercoledì 23 settembre. Otto giorni dopo rispetto al 15, pensato originariamente. Prolungando di un’altra settimana lo stop all’istruzione in presenza iniziato a marzo scorso.

Il ministero dell’Istruzione non ha ancora deciso ma questa sembra la strada più scontata: “Ci ragioneremo nelle prossime ore – dice al Fatto il sottosegretario del Miur Giuseppe De Cristofaro – ma quest’ipotesi c’è: è sicuramente una data che non aiuta a riaprire le scuole la settimana prima e non avrebbe molto senso richiuderle dopo pochi giorni”. Anche il deputato Pd Stefano Ceccanti, che ha seguito il dossier elezioni fin dall’inizio, la pensa allo stesso modo: “Non cambierà molto – spiega – probabilmente il Miur avrebbe indicato comunque una data vicina al 23”. Al Ministero di viale Trastevere sarà fatto presto anche un censimento delle scuole dove saranno istituiti i seggi che, nella maggior parte dei casi, sono le elementari e le medie. Ma comunque la ripresa della didattica avverrà in un’unica data per gli studenti di ogni età.

Resta, quindi, il problema di dover spiegare alle famiglie, soprattutto quelli con bambini più piccoli, e a molti sindaci l’ennesimo rinvio della riapertura delle scuole, fondamentale per tutti i genitori che hanno ripreso o non hanno mai smesso di lavorare. “Il tema c’è e può essere problematico – spiega al Fatto Gabriele Toccafondi, ex sottosegretario alla Scuola e oggi deputato di Italia Viva – però la data del 20 settembre è la migliore possibile: votare il 6 o il 13 significava fare campagna elettorale sotto l’ombrellone mentre il 27 era troppo tardi. Una cosa buona c’è: potremmo allungare da due a tre settimane i corsi di recupero agli studenti delle superiori con insufficienza e non solo per colmare le lacune della didattica a distanza”.

Intanto si avvia alla conclusione l’iter parlamentare del decreto elezioni: ieri pomeriggio la Camera ha votato gli emendamenti e il “sì” finale è previsto per lunedì. L’accordo per sbloccare la situazione parlamentare – e in particolare l’ostruzionismo di Fratelli d’Italia che voleva votare il 27 – è stato trovato martedì sera, dopo ore di mediazione, in conferenza di capigruppo: ieri è stato approvato un emendamento sulla par condicio voluto dal centrodestra secondo cui l’Agcom dovrà vigilare che non ci sia un “vantaggio competitivo” da parte dei governatori uscenti che in questo periodo di emergenza Covid-19 sono particolarmente esposti sui media. Nell’accordo sono stati compresi anche due ordini del giorno votati dalla Camera: il primo, presentato dal deputato di Forza Italia Francesco Paolo Sisto, prevede che le Regioni non “modifichino le leggi elettorali” a esclusione del principio della doppia preferenza di genere, e il secondo del forzista Simone Baldelli in cui il governo si impegna a “valutare la volontà del comitato promotore sul tema della data della celebrazione del referendum costituzionale”. Obiettivo: spostare il voto sul taglio dei parlamentari dal primo al secondo turno di inizio ottobre.

Durante la seduta di ieri, infatti, molti sostenitori del “No” al referendum sul taglio dei parlamentari, come Riccardo Magi dei Radicali e Roberto Giachetti di Italia Viva, hanno chiesto che quest’ultimo venga scorporato dalle elezioni regionali per non dare alla consultazione un valore troppo politico, facendo leva sulla decisione dell’allora governo Berlusconi di celebrare in due date diverse le elezioni politiche di aprile e il voto sulla riforma costituzionale a giugno 2006 (bocciata dagli italiani). Ma dalla maggioranza chiudono: “Un caso solo non può fare giurisprudenza costituzionale e poi quella fu una scelta politica – conclude Ceccanti – il referendum sarà fatto la stessa data del primo turno perché farlo al secondo significherebbe richiudere di nuovo tutte le scuole d’Italia. Il ballottaggio infatti riguarderà solo pochi comuni e, forse, la Toscana”.

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