La storia

Lazio, tagli ai fondi per disabili. La testimonianza: “Senza assegno la mia famiglia torna nel baratro”

Il caso - Antonella, sorella di una malata di Sla: “Mio cognato si è licenziato. Come lo trova un lavoro”?

Di V. Bisb.
13 Febbraio 2020

“L’assegno del Comune è stato una manna dal cielo. Ora che non c’è più, rischiamo di ritornare nel baratro”. Alessandra Vasta è fuori di sé. Sua sorella Barbara, malata di Sla dal 2012, è una delle 790 persone in graduatoria, con disabilità gravissima, che nel 2020 non otterranno l’assegno di sostegno da 700 euro al mese dal Campidoglio. Questo perché i fondi governativi stanziati dalla Regione Lazio, in totale 18,2 milioni, non sono sufficienti a soddisfare le 2.913 domande pervenute in Comune, 600 in più del 2019 e ben 2.500 in più del 2018.

“Appena” 8.400 euro in 12 mesi, soldi che le spetterebbero di diritto, dato che lo scorso anno ne ha usufruito, permettendole di assumere una badante che, per forza di cose, quest’anno dovrà licenziare. “Stiamo provando a pagarla un po’ per uno ma non è semplice”, racconta la sorella Alessandra a Il Fatto.

Barbara, residente all’Eur, si è ammalata all’età di 39 anni, nel 2012, subito dopo aver partorito il suo unico figlio. Oggi il bambino ha 8 anni e lei ne ha 47: “Aveva un lavoro alle Poste e l’ha mantenuto finché ha potuto – ricorda Alessandra – Poi ci hanno contattato e ci hanno detto che non era più il caso che continuasse a lavorare”. Da quel momento, alla sofferenza per la malattia di Barbara, si è aggiunto il calvario burocratico: “Abbiamo ottenuto quasi subito i 500 euro per l’accompagno – spiega – ma nonostante avessimo fatto richiesta da diverso tempo, ancora aspettando la pensione di inabilità, che potrebbe far tirare a tutti un po’ di fiato”. In questo contesto, l’assegno del Comune è stato “una manna dal cielo”. “Barbara ha bisogno di molte cure, e non solo lei – continua Alessandra – Suo marito, mio cognato, faceva l’insegnante e si è dovuto licenziare per seguire il bambino. Mia sorella ha bisogno di essere seguita costantemente, perché già adesso è sulla sedia a rotelle, parla con difficoltà e ogni anno che passa continua a peggiorare. Le dà una mano nostra madre, ma anche lei, da sola, non ce la fa più”.

Fra qualche tempo, la donna potrebbe dover avere bisogno anche della “peg”, gastrostomia endoscopica percutanea, un sondino collegato allo stomaco che alimenta direttamente il paziente. Per ora lei non ne vuole sentire parlare, ma è una eventualità che va considerata e che necessità di cure ancora più specializzate: “Mia sorella ha una forza d’animo incredibile – racconta Alessandra – il suo cervello funziona meglio di tutti. Dentro casa comanda lei, è incredibile. Ora si è affezionata a questa badante, togliergliela per passare a quelle assistenze random, dove non sai chi ti mandano, sarebbe una cattiveria”. Il riferimento alle istituzioni è diretto. “Avevamo un punteggio di 48 – dice – hanno alzato il limite a 50. A me della politica non interessa, non lo so chi ha la colpa in tutta questa faccenda. Ma si mettano una mano sulla coscienza, tutti quanti. Come si fa a dire che mia sorella non ha diritto al sussidio? Erano una famiglia tutto sommato benestante, non gli mancava nulla. Non avrebbero mai chiesto nulla. Adesso non arrivano a fine mese”. Non solo. “Mio cognato, a 50 anni, dove lo trova un lavoro flessibile che gli permette di badare anche al bambino? Leggo sui giornali che tutti vogliono essere aiutati dallo Stato, ma poi non ci sono nemmeno i soldi per i malati gravi”.

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