L’Italia che i tedeschi non capiscono più

Di Nora Bossong
13 Dicembre 2018

“Anch’io nell’Arcadia!”, scrisse un tempo Goethe estasiato, riassumendo così in modo incisivo il rapporto dei tedeschi con l’Italia. L’Italia era il luogo della Sehnsucht, della nostalgia, per eccellenza. In Germania si esisteva, in Italia si viveva.

Oggi le manifestazioni d’amore tra i due Paesi suonano piuttosto come un aspro litigio tra coniugi che ha raggiunto il suo momento più basso e volgare nel 2011 con “la culona inchiavabile”, un episodio che in Germania è stato rapidamente dimenticato soprattutto perché Silvio Berlusconi non veniva comunque più preso sul serio.

Se agli italiani la politica tedesca può sembrare un’entità insensibile e prepotente di custodi dell’austerità, per cui è facile parlare di migrazione quando in fondo dal Mar del Nord giungono solo un paio di traghetti provenienti dalla Danimarca, al contrario quello che succede in Italia ai tedeschi appare spesso solo come la formazione di coalizioni assurde destinate comunque a frantumarsi dopo pochi mesi. La politica italiana? Incomprensibile di per sé. Con una leggera arroganza si preferisce rimproverare mancanza di disciplina. Il dialogo è un’altra cosa.

Sono passati i tempi in cui almeno la sinistra tedesca guardava con un entusiasmo forse idealizzante all’Italia, ai testi di Gramsci e ai film di Pasolini, all’idea dell’eurocomunismo e alla Toscana, dove andava a rifugiarsi e ristrutturava casolari abbandonati per trovare la propria dolce vita lontano dalla tristesse tedesca. Naturalmente erano anche il vino e il bel tempo a rendere così allettante quell’utopia vista da una Germania piovosa e sempre grigia, schiacciata dal senso di colpa del passato recente. La fantasia di una vita all’insegna della leggerezza, in cui dal Nord si osava avventurarsi solo con titubanza ed esitazione, proprio per questo appariva ancor più come una liberazione.

La Sehnsucht del presente non sono più le Arcadie, bensì i confini. C’è chi li vuole abolire del tutto e chi invece desidera alti recinti, muri e porti chiusi per dimostrare di nuovo efficacemente il proprio potere. La questione di una migrazione ordinata o del ripiegamento su se stessi è uno dei grandi pomi della discordia che non grava solo sul rapporto italo-tedesco, ma che potrebbe anche portare alla disgregazione dell’Ue nel suo assetto attuale.

Soltanto gli idealisti potrebbero negare che un radicale abbattimento delle frontiere come obiettivo a breve termine sarebbe pressoché impossibile senza uno sbalorditivo inasprimento delle tensioni sociali. Ma concepire le frontiere come furono pensate all’epoca della fondazione degli Stati nazionali non risponderebbe assolutamente ai problemi del XXI secolo. Questo anzi potrebbe essere uno dei primi problemi del XXI secolo: un ultimo anacronistico aggrapparsi ai relitti di un passato che aveva semmai trovato le risposte per sé, ma non per un futuro lontano. Un ritorno agli Stati nazionali nella loro piccolezza non può essere la soluzione per il presente.

Se però dalla Germania non si capisce la rabbia di molti italiani per essere stati lasciati per anni più o meno da soli con i problemi dell’immigrazione incontrollata, non si fa che portare acqua al mulino di chi inveisce con slogan populisti contro la Germania e l’Ue e promuove il “ritorno” alla sovranità totale degli Stati nazionali. Eppure uno Stato nazionale, che sia dentro o fuori dall’Ue, non può essere mai completamente sovrano, questo vale oggi più che mai, e le questioni della migrazione potranno essere risolte solo multilateralmente. A tal fine sono però necessari dei buoni ed equi accordi.

Quando negli anni Novanta gli Stati partner sottoscrissero il primo Regolamento di Dublino, con cui la responsabilità della procedura d’asilo veniva accollata già principalmente ai Paesi in cui i richiedenti asilo avevano messo piede per la prima volta nel territorio europeo, devono forse aver immaginato la migrazione dei decenni successivi come un problema di media entità che si sarebbe propagato come un lieve movimento attraverso gli aeroporti europei. Mi sembra però più probabile che tutti quegli Stati che non si trovavano ai confini esterni meridionali dell’Ue semplicemente non volessero avere, forse nemmeno vedere, tale responsabilità. Così non può funzionare una comunità.

Attualmente sembra che i nazionalisti in Europa sappiano allearsi meglio di quelli che si adoperano per una comunità aperta al mondo. L’avversione unisce. Ma a lungo termine ciò potrebbe rivelarsi una conclusione errata. Se si osserva attentamente l’Alternativa per la Germania (AfD), la versione tedesca di un partito populista di destra, contrario all’immigrazione e islamofobo, si constata che i suoi attacchi al momento sono ancora rivolti soprattutto contro musulmani e immigrati provenienti dall’Africa e dal mondo arabo. Più potere otterrà, più i confini della sua avversione si sposteranno verso Nord. Gli invisi Paesi del Sud a breve potrebbero essere tutti quelli che si trovano a sud delle Alpi. Si stringeranno temporaneamente patti con altri populisti di destra, ma dietro questo stare insieme si celerà sempre uno stare gli uni contro gli altri.

Inoltre le tante aspre invettive contro un’immigrazione sgradita nascondono altri problemi impellenti. Il tema dell’emigrazione, ad esempio, potrebbe colpire l’Italia anche più duramente. Che ne sarà di questo Paese se proprio i giovani qualificati se ne vanno, in Svizzera, in Francia e non da ultimo anche in Germania? Berlino non è l’Arcadia, ma per molti giovani italiani appare, se non come un luogo della Sehnsucht, almeno come un luogo che offre una prospettiva. Forse noi che siamo nati negli anni Ottanta non parliamo comunque più tanto di Sehnsucht, forse vogliamo innanzitutto un lavoro e un appartamento a prezzi accessibili. Non abbiamo smesso di sognare, ma si sa che s’inizia a sognare solo quando si riesce a prendere sonno.

È quindi tanto più urgente che le forze democratiche in seno all’Europa collaborino, con nuova energia e un’illuminata comprensione reciproca, nella politica così come nella società civile. Non abbiamo bisogno di un’Arcadia, quello di cui abbiamo bisogno è un futuro.

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