L’analisi

Eni, tangenti in Nigeria e le manovre contro Zingales: i fili portano al vertice dell’azienda

2014- 2015 - L’economista spinto a dimettersi dal consiglio d’amministrazione

Di A. Mass.
12 Agosto 2018

Nel luglio 2014 il cda Eni è in fibrillazione perché il suo consigliere indipendente, l’economista Luigi Zingales, ritiene che il capo dell’ufficio legale, Massimo Mantovani, debba fare un passo indietro: ha gestito in prima persona la vicenda del giacimento petrolifero nigeriano, l’Opl 245, sul quale la procura di Milano ha aperto un fascicolo per corruzione internazionale. Quindi è in “conflitto d’interessi”.

Di lì a poco uno degli avvocati dell’Eni, Piero Amara (ormai ex) istruisce “di fatto” il fascicolo farlocco che, secondo la procura di Milano, mirava a condizionare il processo sulla corruzione in Nigeria. Amara nega che fosse quello il suo fine. Sostiene che l’obiettivo era tutelare il suo ufficio legale da un “attacco”. E l’attacco – assolutamente legittimo – era portato da Zingales. La vicenda merita di essere approfondita. C’è un passaggio della deposizione di Amara che deve essere valorizzato: “La gestione di questa vicenda – dice – mi ha ulteriormente rafforzato. È una vicenda che mi accreditava ulteriormente”. Amara utilizza un vocabolo preciso: è la sua “gestione” ad accreditarlo ulteriormente. E la sua “gestione” – dimostrano le indagini e conferma l’imputato – consisteva nel corrompere il pm Giancarlo Longo, predisporre denunce, scrivere false testimonianze, decidere persino chi doveva essere ascoltato in procura e quali atti acquisire.

Se ad accreditarlo era la sua “gestione”, Amara sta indirettamente sostenendo – è l’unico argomento logico – che nell’Eni si sapeva che era stato lui a far nascere l’inchiesta, ovvero a “gestirla”. E già, perché il fascicolo nasce a Trani, una prima volta, con un triplo esposto anonimo. E, considerato che Amara confessa solo ora, di un anonimo doveva trattarsi anche per il colosso petrolifero.

Ma allora: quale gestione avrebbero dovuto apprezzare in Eni? Il procuratore di Trani Carlo Maria Capristo – di lì a poco trasferito nella più ambita procura di Taranto – è parecchio solerte nel dare sviluppo all’anonimo. E con lui i pm Antonio Savasta e Alessandro Pesce, che dispongono acquisizioni nel cda Eni, effettuate dalla Guardia di Finanza. E i finanzieri però, dopo aver analizzato tutto, stabiliscono che di reati, dalla denuncia di quegli anonimi, non se ne vedono. Ma perché mai, il procuratore Capristo, stando alla versione di Amara, lo incontra a Roma, nella galleria Sordi, per riferirgli che l’inchiesta non approderà a nulla? “Percepii – dice Amara – che lui non vedeva sfogo in relazione a questa vicenda”. Non alludiamo a reati. Ma ci chiediamo: è opportuno che un procuratore, all’interno della Galleria Sordi, sostenga queste tesi dinanzi all’avvocato dell’Eni? I finanzieri che indagano a Trani scrivono, in un’ informativa, che l’unica competenza possibile, per gli atti d’indagine sviluppati fino a quel momento, è quella di Milano. Eppure le carte viaggeranno proprio verso Siracusa. Esattamente come Amara si augurava. Dice Amara: “Chiesi a Longo di contattare Capristo per spiegare le ragioni per cui il fascicolo potesse andare a Siracusa”. E così fu. A Siracusa però la denuncia parte da tale Ferraro: quale “gestione” di Amara, anche questa volta, avrebbero dovuto apprezzare i Eni? Nel luglio 2015 Zingales lascia il cda “per non riconciliabili differenze di opinione sul ruolo del consiglio nella gestione della società”. L’uomo che mette in crisi l’ufficio legale Eni non è più un pericolo.

C’è però l’altra consigliera indipendente, Karina Litvak, che Amara fa convocare dal pm Longo e di lì a poco finisce indagata per diffamazione con Zingales (entrambi ovviamente poi archiviati). E lascia il cda. Ma per la diffamazione è necessaria una querela. Che arriva dall’ufficio legale dell’Eni. Ovvero dallo stesso Mantovani. Una gestione colossale. Forse troppo. Persino per l’Eni.

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