La giornata

Effetto Mattarella: spread e Borsa da “rischio Grecia”

Panico sul debito - Fuga degli investitori spaventati dall’incertezza sull’esecutivo, l’Italia ora preoccupa come nel 2011 ai tempi di Berlusconi

Di Carlo Di Foggia e Stefano Feltri
30 Maggio 2018

“Ho visto cose che neanche nel 2011”, dice un operatore finanziario specializzato in debito pubblico italiano. A fine giornata la sintesi è questa: se va avanti così si rischia lo scenario greco, a chiedere aiuto alla Bce per la liquidità necessaria per tenere aperte le banche e poi, magari, al fondo salva Stati per sostenere il debito pubblico.

La giornata sui mercati inizia come peggio non si poteva. La Borsa di Milano crolla subito (a picco i titoli bancari), e lo spread tra i titoli di Stato italiani e tedeschi vola sopra i 300 punti (ai livelli del 2013), con un picco dei rendimenti per quelli a due anni (segnale che gli investitori temono contraccolpi a breve sull’Italia). Lo stop di Sergio Mattarella al governo M5S-Lega sta provocando proprio lo scenario che il presidente della Repubblica pensava di scongiurare fermando la nomina di Paolo Savona al ministero del Tesoro.

“Mattarella ha minato l’euro”, scrive l’economista Ashoka Mody per Bloomberg. “Rifiutando la scelta di una coalizione eletta dal popolo – si legge – potrebbe aver messo in moto una crisi finanziaria dalla quale sarà difficile ritirarsi. In mezzo alla sua retorica esagerata, la coalizione Lega e Cinque Stelle formula alcune proposte sensate: la Bce dovrebbe dare maggiore considerazione alla disoccupazione (come fa la Federal Reserve degli Stati Uniti); le regole fiscali dovrebbero consentire una maggiore libertà di investimento. Invece di dare agli euroscettici l’opportunità di affrontare le complessità del governo – e di riconoscere l’inutilità di alcune delle loro proposte – Mattarella ha tentato un altro governo tecnocratico”.

Il differenziale di rendimento tra i Btp e i bund tedeschi a dieci anni è arrivato fino a 326 punti prima di ripiegare sotto quota 290. Quello sui titoli a due anni si è allargato di 190 punti, toccando i 343 punti. Un titolo a due anni è arrivato a rendere quanto uno decennale (2,6%). È proprio la tensione sui titoli di Stato a breve termine il segnale peggiore: nelle prime ore di ieri mattina le variazioni di rendimento sono così rapide da mandare in tilt gli scambi.

Nel resto della giornata la situazione non migliora: ogni volta che un operatore decide di lanciare un ordine d’acquisto di titoli di Stato che può fermare la caduta, arrivano notizie negative che innescano una nuova ondata di vendite. Come quando il segretario reggente del Pd Maurizio Martina annuncia l’astensione del partito al voto di fiducia su Cottarelli, lasciando l’esecutivo senza alcun consenso in Parlamento. Altro colpo negativo intorno alle 18, quando Carlo Cottarelli lascia il Quirinale senza presentare la lista dei ministri e lo spread torna sopra i 300 punti. La smentita del Quirinale arriva tardi. Le prospettive a breve termine potrebbero però invertirsi se prendesse piede l’ipotesi di un clamoroso ritorno di un governo Lega-M5S e il tramonto di quella di un governo guidato da Cottarelli circolate ieri.

Un terzo del debito pubblico italiano è in mani estere. La quota domestica è del 68,7%, la quota maggiore è in mano alla Bce attraverso il programma di acquisti del Quantitative easing (ma formalmente detenuta da Bankitalia). Il rendimento dei titoli emessi dal Tesoro era all’1,8% in aprile, ora si avvicina al 3%, più o meno il tasso medio di interesse sul debito che paga l’Italia, tra i più alti nell’Eurozona. Ieri il Tesoro ha venduto tutti i 5,5 miliardi di titoli a 6 mesi, con un balzo di 163 punti del rendimento. Entro il 2020, ha calcolato l’ufficio parlamentare di bilancio, andrà in scadenza il 42,6% dei titoli in circolazione, che andranno rifinanziati. Un aumento di 100 punti dello spread comporta una maggiore spesa nel 2018-2020 di 12,5 miliardi, che può arrivare fino a 21 “se l’aumento dei tassi a breve e lungo termine sarà differenziato”, come sta accadendo.

Gli investitori sono molto confusi. Spaventati da un governo privo della fiducia del Parlamento come sarebbe (o sarebbe stato) quello Cottarelli e altrettanto preoccupati di fronte all’ipotesi di elezioni anticipate a luglio trasformate di fatto, anche per gli errori del Quirinale, in un referendum sulla moneta unica. L’ipotesi per loro migliore è quella di Matteo Salvini che resta nel centrodestra e, con la coalizione, riesce a raggiungere la maggioranza alle Camere ammorbidendo i toni euroscettici.

Tutti guardano a Bruxelles e Francoforte, da dove però arrivano segnali che aggravano le tensioni. La polemica più forte è per le parole del commissario al Bilancio Ue, il tedesco Günther Oettinger. In un’intervista alla Deutsche Welle dice che la reazione dei mercati darà “un segnale” agli italiani, consigliandoli a non votare per “forze populiste”. L’intero arco parlamentare italiano e il governo ne chiedono le dimissioni, perfino Jean Claude Juncker e il presidente del Consiglio Ue Donald Tusk lo stroncano. Solo in serata l’esponente della Cdu (il partito della Merkel) chiede scusa. L’altro versante è la Bce (che nell’ultima settimana ha ridotto l’acquisto di titoli per 1,5 miliardi). Il 2018 si è aperto con il dimezzamento del Qe a 30 miliardi di acquisti al mese e l’aspettativa che avrebbe annunciato a giugno la fine degli acquisti a settembre, con la chiusura del programma entro l’anno.

L’impennata dello spread potrebbe spingere a ritardare gli annunci e allungare l’arco temporale degli acquisti. Ipotesi chiusa ieri dal membro tedesco del consiglio Bce, Sabine Lautenschläger: “Giugno potrebbe essere il mese per decidere una volta per tutte di terminare gradualmente gli acquisti entro l’anno”, ipotizzando perfino un rialzo dei tassi, ora a zero, “già dalla metà del 2019. Un pessimo segnale. Come ipotizzare per l’Italia un trattamento “alla greca” evocato lunedì dalla Merkel.

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