In attesa

Il Colle aspetta il nome, poi viene il programma

Perplesso - È il presidente del Consiglio che garantisce l’indirizzo politico del governo e l’interlocutore del capo dello Stato: i gialloverdi hanno tempo fino al 21

Di Fabrizio d’Esposito
17 Maggio 2018

La bozza al Quirinale, ma ancora intonsa e “non visionata”. È pomeriggio tardi quando dal Colle, per stroncare la girandola di voci e persino di illazioni e grotteschi sospetti sul capo dello Stato, si annuncia che il fatidico contratto tra Lega e Cinquestelle, e divulgato l’altro giorno dall’edizione italiana dell’Huffington Post, è stato consegnato lunedì scorso dalla delegazione grillina ma non è mai stato letto da Sergio Mattarella.

Per un semplice motivo: “Il presidente non guarda bozze ma testi definiti, frutto delle responsabilità dei partiti che concludono accordi di governo”. E comunque, pare di capire, si tratterebbe di una bozza diversa da quella dello scoop del quotidiano online di Lucia Annunziata.

Non solo: il contratto portato lunedì viene giudicato “non ricevibile” ché il presidente attende in questi giorni innanzitutto l’indicazione del nome del premier. È ancora questo il vero nodo della trattativa grilloleghista. Una ragione in più, al Colle, per rimanere ancorati all’essenziale e a non farsi distrarre dalle polemiche scatenate dalla pubblicazione della bozza.

Anzi. A pensar male, finanche al Quirinale, l’ammuina sul contratto sarebbe servita a nascondere per l’ennesima volta le difficoltà di Lega e M5S a trovare un nome condiviso. Un tormentone che si trascina dall’ultimo fine settimana. Così dal Colle con infinita pazienza ricostruiscono quello che è avvenuto dopo la telefonata di domenica scorsa a Ugo Zampetti, segretario generale della presidenza della Repubblica.

Cioè, Luigi Di Maio che telefona e dice: “È tutto pronto”. Mattarella che convoca per il giorno dopo consultazioni riservate soltanto ai due partiti e si trova di fronte il nulla o quasi. Ossia la mancanza del nome e quella bozza che viene “anticipata” per coprire il buco dell’indicazione del presidente del Consiglio. Indi la “sceneggiata” di Matteo Salvini all’uscita che include il fallimento dell’intesa tra le ipotesi della trattativa.

Giunti ormai a metà settimana, il capo dello Stato prende atto con molta stanchezza che “l’accordo” ci sarà pure come riferiscono i due leader ma sul nome del premier non c’è alcuna certezza. E quelli che girano vengono accolti con scetticismo totale.

Quando arriverà il momento giusto sull’onda di questo nuovo ottimismo generato dalla giornata di ieri?

Quando Di Maio e Salvini la finiranno di dire ai giornalisti che “ci siamo” nonostante manchi il tassello principale? Il presidente della Repubblica aspetterà fino a lunedì prossimo.

Il sentiero principale di questi oltre 70 giorni di stallo e consultazioni resta il governo politico. E il suo accompagnamento maieutico ha di fatto congelato l’esecutivo neutrale minacciato il 7 maggio, al termine del terzo giro di consultazioni. Senza dimenticare che lunedì prossimo, 21 maggio, si chiuderà la finestra elettorale estiva, quella di luglio. In ogni caso a quanti invocano la sua parola sui contenuti controversi del documento, dall’euro al comitato di conciliazione, per il momento si rimanda ai due “pesanti” discorsi che Mattarella ha tenuto la scorsa settimana a Firenze, per “lo stato dell’Unione europea” e successivamente a Dogliani, in Piemonte, per l’anniversario del giuramento da capo dello Stato di Luigi Einaudi.

Il primo, un testo fortemente europeista, in cui all’immagine di un sovranismo seducente ma inattuabile viene contrapposta quella di un’Unione che continua a essere un “disegno grande” e un “modello di democrazia liberale”. E che nonostante critiche e problematiche reali è l’unica risposta per la soluzione delle questioni che il populismo pone, dal fenomeno migratorio alle diseguaglianze economiche: “Tutti sanno che nessuna delle grandi sfide, alle quali il nostro continente è oggi esposto, può essere affrontata da un qualunque Paese membro dell’Unione, preso singolarmente, quale che sia la sua dimensione”.

Il secondo, invece, cioè il discorso di Dogliani, è una lezione di diritto costituzionale sulle prerogative del Quirinale codificate da Luigi Einaudi, primo presidente della Repubblica. E che riguardano la scelta del presidente del Consiglio e dei ministri anche contro le indicazioni fornite dai partiti, alla luce dell’articolo 92 della Costituzione.

Così come l’articolo 95 recita: “Il Presidente del Consiglio dei Ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando la attività dei Ministri”.

Di fronte alle preoccupazioni e alle paure suscitate dal patto gialloverde, Mattarella ha già svolto un’azione “preventiva”. E adesso può soltanto aspettare.

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