L’Intervento

Il conflitto tra nazionalismo e diritti

XX Secolo - Le barriere tra Stati sono nate assieme ai grandi ideali universali

Di Agnes Heller
5 Maggio 2016

Domani sera la lectio magistralis della filosofa Agnes Heller al Bergamo Festival “Fare la pace” (5-15 maggio). Ne anticipiamo un brano.

Gli Stati-nazione e la loro ideologia di governo, il nazionalismo, compaiono grosso modo contemporaneamente al credo del valore universale dell’Umanità.

Si potrebbe dire che se c’è una prova dell’essenza ipocrita dell’universalismo, questa è la prova perfetta. Probabilmente nel corso della storia non ci sono mai state così tante persone assassinate dal nazionalismo, dal razzismo e dalle altre ideologie come nel  XX secolo sotto il sole universale dell’Umanesimo. Si potrebbe replicare che se il genocidio è diventato per noi il male assoluto è proprio grazie alla validità dei  valori universali. Dopo tutto la letteratura inizia con il genocidio. Troia fu distrutta, tutti gli uomini vennero uccisi e le donne prese come schiave, ma per molte generazioni questa è stata solo una bella storia da leggere. Cartagine fu arata e cosparsa di sale; vero o meno che fosse, sta di fatto che i Romani se ne vantavano.

Cosa è cambiato? Ci sono delle alternative. Molti giudizi negativi sulle altre razze, religioni  non vengono più dati per scontati, ma respinti come pregiudizi.  Mentre gli antichi conquistatori erano fieri di definirsi conquistatori, oggi preferiscono chiamarsi liberatori. E’ ipocrita? Per lo più sì. La creazione di molte istituzioni internazionali, in primo luogo le Nazioni Uniti, incorpora (almeno apparentemente) il concetto di universalità. Non siamo estranei e ancor meno nemici, siamo nazioni diverse di un pianeta comune. E’ ipocrita? Per lo più sì.

E’ ipocrita in primo luogo perché l’universalismo nulla significa per molte culture, con la sola eccezione della scienza e della tecnologia. Sebbene quasi tutti gli Stati del mondo abbiano firmato la Dichiarazione universale delle Nazioni Unite, tale firma ha o può avere conseguenze pratiche solamente nelle democrazie liberali. Se ricordo la contraddizione o solo la tensione tra valori universali e la posizione antropologica fondamentale, ho in mente soltanto le democrazie liberali. Non solo gli Stati totalitari, ma anche le autocrazie ricorrono ai pregiudizi contro l’Altro come arma per garantirsi l’appoggio popolare.

Al tempo stesso il rapporto con l’”Altro” diventa selettivo. I pregiudizi nazionali, razziali, religiosi, sessuali rimangono vivi, anche se a volta nascosti, se confermano la posizione antropologica fondamentale, la convinzione che “noi” siamo il centro dell’universo, la sensazione di sicurezza. Per molti altri aspetti, tuttavia, la curiosità e l’interesse per l’Altro hanno guadagnato terreno. La Cina, l’Africa nera, lo yoga, il buddismo, la religione Krishna vanno di moda. I ristoranti offrono cucine di ogni parte del mondo. Nelle sale da concerto, nelle gallerie, alla televisione non c’è quasi più un “noi” e un “loro”.

La scena cambia completamente quando l’”estraneo” si stabilisce permanentemente tra “noi”.

La tensione tra posizione naturale e universalità non ha il medesimo significato in tutte le democrazie liberali. A questo punto c’è una sostanziale differenza tra Stati-nazione e altri Stati moderni, una differenza tra Europa e il cosiddetto “nuovo mondo”.

Parlo dell’attuale Europa, di Stati nei quali la “nazione”  è diventata una identità onnicomprensiva nella quale tutti i bambini imparano a scuola o dai genitori quanto la loro nazione sia superiore.  In queste nazioni i bambini vengono allattati al seno con le leggende del passato nazionale, con le storie sulla grandezza della loro nazione e su come fu tradita. Si fondono insieme identità etnica, politica, culturale, tradizionale e talvolta persino religiosa. Per definizione si esclude la doppia identità. Nel nuovo mondo si può essere “irlandesi americani”, “afro-americani”, “cino-americani” “Italo-americani” ecc., in Europa no. I francesi sono solo francesi, i tedeschi solo tedeschi, gli ungheresi solo ungheresi. In uno Stato-nazione l’”estraneo” non si sarebbe potuto integrare senza essere assimilato. L’assimilazione comporta la totale identificazione con la nazione ospite, l’abbandono della cultura, della religione, del modo di vestire, delle leggende, del passato tradizionale dei migranti. Chi non riesce ad assimilarsi rimane un paria. Al contrario del “nuovo mondo”, l’emancipazione politica, vale a dire l’aspetto principale dell’integrazione, significa poco o nulla in uno Stato-nazione.

Il carattere escludente degli Stati-nazione è chiarito nel migliore dei modi possibili dalla storia degli ebrei europei  nel XIX e XX secolo  e dalla storia di due guerre mondiali. Il moderno antisemitismo (al contrario dell’originario anti-ebraismo) è stato il prodotto degli Stati-nazione. La trasformazione del nazionalismo in razzismo non è stato un mero caso in quanto il nazionalismo etnico contiene in sé un elemento di razzismo. Ho detto in precedenza che la prima guerra mondiale è stata una guerra europea, la vittoria degli Stati-nazione contro l’internazionalismo e il cosmopolitismo. Allo stesso modo in cui l’intreccio tra etnia e razza è stato la motivazione (almeno da parte tedesca) della seconda guerra mondiale.

Dopo la devastazione della seconda guerra mondiale, alcuni Stati europei tirarono le conseguenze in ordine al lato oscuro degli Stati-nazione e crearono l’Unione Europea. Non bisogna sottovalutare il significato di questo grande progetto.  Gli Stati membri dell’Unione Europea si sono impegnati a non iniziare mai più una guerra gli uni contro gli altri. Non di meno a tutt’oggi nessun sentimento identitario europeo ha conquistato la stessa forza o lo stesso significato delle identità nazionali degli Stati membri.  Se chiedessi ad un qualunque bambino di un qualunque Paese dell’Unione Europea: “cosa significa per te essere europeo?”, dubito che sarebbero in molti a  rispondere o a capire il senso della domanda. Il problema non va individuato nei conflitti di interesse, ma nei conflitti in ordine al significato di appartenenza, al problema dell’identità e della legittimazione generali, se non universali.

E tuttavia gli europei non sono più “estranei” per gli altri europei. Un francese non è estraneo per un tedesco, uno slovacco o un ungherese. L’ideologia nazionalista, i miti e le leggende nazionali mobilitano ancora popolazioni frustrate e, quanto più frustrate sono tanto più efficaci sono i vecchi miti. Oggi, tuttavia, il vero estraneo non è più l’altro europeo, ma il migrante. I migranti sono gli estranei che arrivano tra noi da chissà dove, hanno costumi e religioni diversi, hanno tradizioni, leggende, punti di vista diversi su ciò che e vero e ciò che è falso. Sono terroristi, occupano la nostra terra e la distruggono. Il pericolo intrinseco nello Stato-nazione si ripresenta. L’estraneo deve assimilarsi o scomparire completamente.

Da un lato l’Europa ha un tasso di natalità insufficiente e ha bisogno dei migranti. Nell’arco di circa 60 anni gli europei hanno ucciso cento milioni di europei.  Mancano non soli i figli, i genitori, i nonni, i bisnonni. I peccati dei padri e dei nonni vanno espiati.

Dall’altro lato, gli europei sono pronti sono disposti ad accettare i migranti solo se sono disposti ad assimilarsi. Assimilarsi non all’Europa (che non ha una memoria tradizionale e culturale comune né una medesima lingua), ma a questo o a quello Stato-nazione.

I rifugiati provenienti da zone di guerra dell’Asia o dell’Africa, oggi si rifanno alla dichiarazione universale: “voi europei avete inventato che tutti gli uomini nascono ugualmente liberi, quindi noi siamo come voi. Di conseguenza dovete trattarci come esseri umani con pari diritti e lasciarci vivere con voi nel vostro pacifico, abbondante e piccolo continente”. Gli europei rispondono: “è vero, tutti gli uomini nascono ugualmente liberi e noi siamo tutti uguali, ma la maggior parte degli uomini debbono rimanere dove si trovano. Noi abbiamo lavorato per le nostre ricchezze che sono comunque a rischio in quanto dobbiamo sfamare la nostra popolazione povera. Abbiamo dei diritti sulla nostra terra e siamo noi a decidere che può vivere qui. Chi possiede una casa, detta le regole. Anche i parenti prossimi che vengono a trovarci e sono nostri ospiti a Natale debbono rispettare le nostre regole”. L’estraneo chiede: “avete bisogno di regole per potere salvare da morte certa chi si trova in una casa in fiamme? Se non è così, perché non consentite ai rifugiati di entrare in casa vostra senza alcuna condizione?”.  Gli europei rispondono: “accogliamo i rifugiati senza condizioni e li ospitiamo nei campi profughi fin quando non potranno tornare da dove sono venuti senza correre pericoli. Ma debbono comunque rispettare delle regole. Le stesse regole della casa? O altre regole? Che regole sono le regole della casa?”.

Un americano risponderebbe: “le regole della casa sono le regole dello Stato. Tutti debbono osservare le leggi dello Stato sia che riguardino il comportamento verso gli altri sia che riguardino il comportamento da tenere tra voi o nei confronti di vostra moglie o dei vostri figli”. “Questo può essere accettabile”, risponderebbe l’estraneo “ma alcune regole della nostra religione non ci consentono di onorare sempre le leggi dello Stato”. “Mi spiace”, risponderebbe l’americano. “In tal caso non potete sistemarvi in casa mia”. Ma io non sono americano, io sono europeo, cittadino di uno Stato-nazione…nei nostri Stati-nazione ci sono molte più regole della casa rispetto al nuovo mondo. Dovete imparare la lingua dello Stato, la tradizione della nazione, osservarne i costumi, adottarne il comportamento pubblico e privato e considerarvi membri di quella particolare nazionale”.  “E se non lo faccio?” “Sarai un emarginato, non troverai un lavoro decente, i tuoi figli non avranno la possibilità di salire la scala sociale”.  “Ci chiedete troppo”, protesta l’estraneo. “Sì, lo so, ma dovete capire che abbiamo le nostra tradizione. A lungo ci siamo considerati caucasici rispetto alle persone di colore e questo genere di razzismo sfortunatamente è importante per molti nostri compatrioti. Ci siamo considerati il continente cristiano e non è facile abbandonare questa tradizione. Ci siamo considerati progressisti, non solo nel campo dell’hi tech, ma anche in quanto democratici liberali in molti aspetti della vita di tutti i giorni”. “Siete gente molto strana”, sottolinea l’estraneo.

 

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Traduzione di Carlo Antonio Biscotto

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