Sono ormai settimane che sui nostri schermi appaiono le immagini strazianti della guerra in Ucraina. Non soltanto quelle dei bombardamenti o delle vittime lasciate sulle strade dagli invasori russi. Assistiamo anche alla fuga forzata di donne e bambini, costretti a lasciare i propri mariti e padri a combattere al fronte e a cercare la sopravvivenza nei nostri Paesi. La sociologa Valentina Brinis, che fa parte dell’Ong spagnola Open Arms, ha incontrato di persona centinaia di queste donne, affollate nell’Expo di Varsavia ma con la disperata speranza di rientrare presto a Kiev. Le operatrici umanitarie sanno che, a unire le esperienze delle profughe di tutte le guerre, ci sono spesso gli stessi sentimenti: paura, certo – anche delle violenze subite o future –, ma allo stesso tempo voglia di integrazione. Brinis ci racconta cosa ha visto e cosa accade nel cuore di quelle donne.
Ci sono anche i bambini, dicevamo. Settant’anni fa, il 6 maggio 1952, moriva una studiosa che ha rivoluzionato l’educazione infantile e che proprio ai traumi della guerra ha dedicato importanti capitoli del suo lavoro: Maria Montessori. “Questi disturbi – scriveva –, che si possono considerare fenomeni di degenerazione, consistono in un indebolimento di tutto il sistema nervoso, che importa una perdita di energia e di intelligenza e che influisce talmente sulla vita dell’individuo da trasmettere queste tendenze degenerative anche alle successive generazioni”. Oggi giunge in Italia una biografia di Montessori che ne riporta scritti e lettere inedite. La anticipiamo in questo numero.
E ancora: pubblichiamo uno stralcio di un romanzo d’esordio, vincitore del premio Lettera futura, che affronta proprio il tema di una sorella venuta non dal grembo della propria madre, ma dalla guerra. Si chiama “La ragazza con la pistola” e a scriverlo è stata Valeria La Rocca.
Il problema degli emigranti, ci racconta invece la scrittrice Barbara Cagni in un volume che Angelo Molica Franco ha letto per noi, è che comunque, integrati o no, accolti o meno, si sentiranno “Per sempre, altrove”, come il titolo del suo romanzo: una condizione di revenant, di sopravvissuti. Così come sopravvissute si sentivano le donne come Berta, la protagonista del libro, che attese per anni, e inutilmente, il ritorno del suo amato Vittorio.
Lasciamo poi il lungo capitolo dedicato alle guerre e alle migrazioni per tornare a occuparci di un tema di cui si discute molto: in Italia, ma non soltanto, sono pochissime la strade e ancor meno i monumenti intitolati alle donne. Secondo l’associazione “Mi riconosci” sono solo 148 le statue dedicate a protagoniste femminili. Eppure, in un articolo scritto per noi, la storica dell’arte Lisa Parola, autrice del saggio “Giù i monumenti?”, ci spiega che forse sarebbe il caso di cambiare punto di vista: piuttosto che statue alle donne, non è il caso di parlare di statue pensate dalle donne?
Infine l’appuntamento ironico della settimana. Elisabetta Ambrosi ha intervistato Patrizia Falcone, il cui nome in sé non è troppo conosciuto. La sua pagina, però, “Quello che le donne non dicono”, conta un milione e 300 mila followers su Tik Tok, tanto per intenderci. Post, video e adesso un libro sull’importanza di accettare il proprio corpo, i propri difetti, persino i peli sotto le ascelle. E la libertà di poter dire: un fidanzato non ce l’abbiamo e manco ci serve.
Buona lettura.
A cura di Silvia D’Onghia
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