Eurodeputato per l’Alleanza progressista dei Socialisti e Democratici (S&D), relatore ombra del gruppo in Parlamento europeo della Proposta Migrazione e Asilo, a Pietro Bartolo ancora trema la voce quando parla delle vittime del mare. Nato a Lampedusa e responsabile del presidio sanitario dell’isola dal 1992 al 2019, di quei morti tiene i conti da più di 30 anni: “Sono almeno 50 mila quelli inghiottiti dal mio mare, una cosa incompatibile con l’Europa dei padri fondatori, nata sul rispetto del diritto alla vita”. Netto il suo giudizio sull’accordo per il Patto migranti e asilo, raggiunto dai governi dei 27 a Lussemburgo al Consiglio Affari interni dell’8 giugno: “Un brutto Patto: per salvare la fortezza Europa si rischia di far naufragare l’Europa come luogo di valori democratici e diritti umani”.

Bartolo, la solidarietà dei partner europei rimane volontaria, eppure il ministro Piantedosi ha rivendicato che “non saremo il centro di raccolta migranti dell’Unione”.
Io dico che con questo accordo la solidarietà tra Paesi Ue è naufragata. E si pensa di risolvere tutto con rimpatri, accordi con Paesi terzi e addirittura immaginando degli hub fuori dal territorio europeo dove deportare queste persone. La verità è questa. Addirittura il poco che c’è di solidale già viene respinto da paesi come Ungheria e Polonia, contrari a redistribuire una pur piccola parte di persone.

La proposta del Consiglio sul Patto immigrazione e asilo già incoraggiava l’utilizzo del concetto di Paese terzo sicuro, ma l’Italia dice di aver ottenuto dell’altro. Che idea si è fatto?
Non credo abbia ottenuto altro. Il voto dell’Italia è un voto favorevole alla possibilità di trovare Paesi detti sicuri, ma che sicuri non sono, dove portare persone considerate senza diritti. Voglio proprio vedere come farà l’Italia, nelle sole 12 settimane concesse dalle nuove procedure accelerate, a valutare le domande e a rimpatriare o espellerle queste persone. Soluzioni che già prevedo fallimentari e che si allontanano dal buon compromesso raggiunto dal Parlamento europeo, che in caso di boom di arrivi prevedeva addirittura un 80% di ricollocamenti obbligatori tra gli Stati membri, anche valutando l’idoneità del Paese Ue alla competenza all’esame delle domande in base a legami familiari del richiedente. E per il restante 20% erano previsti sostegni in termini di capacity building: contributi finanziari, personale o attrezzature. Tutto questo non è stato preso in considerazione in favore di una Fortezza Europa che non dà alcuna possibilità alla solidarietà né ai diritti. Ciò detto, è stato trovato un accordo ma l’ultima parola non è ancora scritta e in sede di confronto con Commissione e Consiglio daremo battaglia.

Cosa si nasconde dietro al concetto di “connessione” con un Paese terzo sicuro o di transito, a cui il governo tiene tanto?
Credo si voglia andare anche oltre l’idea di espellere gli irregolari, quelli che hanno vista respinta la domanda d’asilo, respingendo in via preliminare tutti coloro cui possiamo attribuire un qualche legame con Paesi terzi che il nostro interesse giudica sicuri. Peggio, con il concetto di connessione che hanno in mente si vuol dare un peso anche al semplice transito in un Paese attraversato nel corso di viaggi che possono durare anni. Ma è fuorviante, visto che quelle persone non si sono fermate in quel Paese, intendendo chiedere protezione in uno Stato più sicuro come sono quelli europei. Spiace dire che la sicurezza che vanno cercando oggi in Europa viene loro negata, e i diritti umani violati.

Quando il nostro governo pretende di espellere le persone verso Paesi terzi, dove possiamo immaginare che riuscirà a stringere accordi utili all’obiettivo?
E’ qualcosa che somiglia alle deportazioni, si vogliono creare zone di scarto: gli africani in Libia, Tunisia, Marocco, a prescindere dal loro luogo di appartenenza, la Bosnia per chi arriva via terra. Stiamo già predisponendo accordi con la Tunisia che non è Paese sicuro come non lo è la Libia e altri. Allo stesso tempo sono convinto che non funzioneranno così come non hanno funzionato in passato, basti l’esempio della Turchia. Ma l’intenzione c’è e visto che bastano intese bilaterali tra Stato Ue e Paese terzo, tra questi accordi potremmo addirittura immaginarne uno col Ruanda, noto alle recenti cronache perché la Gran Bretagna prevede di mandare lì i migranti entrati nei suoi confini. Una strategia verso la quale Meloni ha mostrato interesse proprio nei colloqui col premier britannico. Lo trovo assurdo: si tratta di persone, non di merce di scarto. Deportarli in quei Paesi significa far fallire le loro vite.

Nella nota pubblicata dal Consiglio non c’è traccia di quanto l’Italia avrebbe ottenuto sulla cosiddetta “dimensione esterna”.
Non solo non c’è traccia di questo, l’accordo è palesemente peggiorato nei confronti dei Paesi di primo ingresso come l’Italia, caricati di ulteriori incombenze legate alle procedure accelerate e ai rimpatri. Non capisco come l’Italia abbia potuto cedere a tutto questo, visto che il problema ce l’abbiamo noi, come la Grecia, Cipro o la Spagna. Quando invece insistendo sul ricollocamento obbligatorio votato dal Parlamento le persone sarebbero state redistribuite e così gli oneri. Evidentemente ci sono accordi sottobanco e quindi tutto si trasforma in un gioco che nasconde altri interessi.

Ora si passa al confronto tra Consiglio, Commissione e Parlamento. Sul piano politico quali sono i margini per modificare la proposta?
Spero di trovare una larga maggioranza in Parlamento come già ci fu nel voto alla nostra proposta parlamentare, approvata anche da Forza Italia e del Partito popolare europeo (Ppe). Un compromesso che salvò l’80% delle nostre proposte che invece la soluzione del Consiglio come lo stesso accordo dell’8 giugno non ha tenuto in alcuna considerazione, ripartendo da posizioni addirittura opposte. Purtroppo va detto che negli equilibri dell’Unione i governi e dunque il Consiglio hanno una grande forza: quando ci fu la riforma del regolamento di Dublino nella precedente legislatura, il Consiglio riuscì ad affossarla nonostante una maggioranza parlamentare ancora più ampia di quella ottenuta sul Patto immigrazione e asilo. Non ultimo, vista la generale tendenza a virare a destra, oggi i voti del Ppe potrebbero essere un problema. Vedremo, ma faremo tutto il possibile.

Potesse cambiare una sola cosa dell’impianto approvato nel vertice degli Affari Interni, cosa cambierebbe e perché?
La mia priorità è innanzitutto la cancellazione del principio del Paese di primo ingresso. E di conseguenza l’adozione di una redistribuzione obbligatoria facendo leva sui principi di solidarità e sulla vicinanza dei legami parentali delle persone da ricollocare. Non dimentichiamoci che le imprese europee hanno molto bisogno di manodopera e se non lo vogliamo farlo per ragioni di umanità, facciamolo almeno per egoismo. I governi se ne renderanno presto conto, ma il paradigma va cambiato. La mia Europa è l’Europa che apre le porte come ha fatto in pochi mesi con 5 milioni di profughi ucraini, senza considerarli numeri ma esseri umani. E se proprio si deve parlare di numeri allora non mi stanco di ripeterlo: l’invasione non c’è, nell’Unione dove abitano 500 milioni di cittadini parliamo di poche migliaia di persone da redistribuire. Avessimo gestito i flussi e l’accoglienza con intelligenza e lungimiranza non ci sarebbero stati tutti questi morti, né la necessità di rotte così pericolose. E l’Italia oggi non dovrebbe cercare accordi con Paesi dove lo Stato di diritto non è certo quello della tradizione europea.

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