Si fa presto a dire “amicizia senza limiti“. Dall’inizio della guerra in Ucraina la Cina ha mantenuto un comportamento decisamente ambiguo nei confronti di Mosca: non ha mai condannato l’invasione russa, ma non ha nemmeno fornito supporto militare a Vladimir Putin. Si ostina a difendere “la sovranità di tutti i Paesi” senza specificare quali, ma ha più volte disapprovato pubblicamente le minacce nucleari di Mosca. Questa conclamata neutralità cinese è stata più volte contestata dagli esperti alla luce di un dato apparentemente inequivocabile: l’aumento degli scambi economici tra i due Paesi. La Cina sta approfittando della crisi per acquistare idrocarburi russi a prezzi stracciati, si è detto e scritto in più occasioni.

Uno studio dello Swedish Institute of International Affairs scardina anche questa illusoria certezza. Secondo il rapporto – consultato in esclusiva dal South China Morning Post – le importazioni di gas e petrolio russo da parte della Repubblica popolare in realtà sono cresciute solo lievemente dall’inizio della guerra. Nel corso del 2022, la quota relativa all’acquisto di gas e petrolio russo sul totale delle importazioni del gigante asiatico è aumentata soltanto dal 14 al 16%, arrivando ad appena il 16,9% nei primi quattro mesi del 2023. Ergo, se la Repubblica popolare è diventata il migliore acquirente delle risorse energetiche russe è piuttosto per via del disimpegno dei clienti occidentali, fa notare l’organizzazione con base a Stoccolma.

Sembra inoltre che le compagnie cinesi non abbiano effettuato ulteriori investimenti o transazioni nel settore energetico russo dopo lo scoppio del conflitto. Né sono stati firmati nuovi contratti a lungo termine per l’acquisto di idrocarburi o per la realizzazione di altre condotte. In particolare, i comunicati cinesi sembrano tutt’oggi ignorare l’interesse ossessivo di Mosca per il progetto Power of Siberia 2: una pipeline attualmente ancora in fase di studio che – che passando per la Mongolia – dovrebbe aumentare significativamente le forniture di gas russo a Pechino.

Ad oggi la Repubblica popolare attinge prevalentemente ai giacimenti della Sachá attraverso il progetto Power of Siberia, entrato in funzione nel 2019. Le nuove condotte invece dovrebbero partire dalla penisola russa di Yamal, dove si trova la maggior parte dei depositi di gas russi, inclusi quelli da cui – fino al 24 febbraio 2022 – l’Europa ha ricevuto le sue forniture. Ecco perché la Russia insiste tanto. A marzo, accogliendo a Mosca il presidente cinese Xi Jinping, Putin aveva dichiarato che “praticamente tutti i parametri [del progetto]… sono stati finalizzati”. Da Pechino invece ancora nessuna conferma. Segno che forse la Cina – intenzionata a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2060 – sul lungo periodo non ha poi tutto questo bisogno di gas siberano. Per costruire le nuove infrastrutture servono anni, mentre il gas serve nell’immediato per facilitare la transizione dal carbone.

Lo studio svedese attesta inoltre come nessuna petroliera cinese di proprietà statale abbia trasportato petrolio russo all’estero. Un’eventualità che avrebbe portato alla cancellazione di buona parte dello sconto di cui la Cina beneficia per le importazioni dalla Federazione. Piuttosto il gigante asiatico ha continuato ad acquistare petrolio russo a un prezzo superiore al tetto massimo imposto dal G7 a dicembre, seppure solo attraverso terze parti o società private. Il motivo della cautela è facilmente intuibile: secondo il rapporto, Pechino ha cercato di bilanciare “la necessità di sostenere il suo più importante partner strategico nella sfida all’ordine mondiale guidato dall’Occidente” e quella di “badare ai propri interessi e proteggere i rapporti economici con i partner commerciali occidentali”.

Nonostante la reiterata condanna delle sanzioni unilaterali – quelle imposte da Stati Uniti e Ue ma non approvate in sede Onu – la Cina sta in realtà facendo grande attenzione a non violarle. Soprattutto ora che Bruxelles ha in cantiere misure ritorsive per punire anche le aziende cinesi pizzicate ad aggirare i provvedimenti europei per conto di Mosca.

C’è un altro fattore che ridimensiona notevolmente l’“amicizia senza limiti” tra Putin e Xi: secondo gli autori dello studio, Pechino starebbe cercando di diversificare le sue fonti energetiche anche per evitare un’eccessiva dipendenza dalla Russia. Lo conferma non solo il consolidamento degli scambi con l’Arabia Saudita, rimasta il primo venditore di petrolio nel mese di aprile. Solo pochi giorni fa il presidente cinese in persona ha rilanciato i negoziati per la realizzazione della Central Asia–China Gas Pipeline D: le condotte con cui Pechino ambisce a incrementare le forniture dal Turkmenistan. Ed è un po’ una beffa che la strategia cinese per la sicurezza energetica passi proprio per il cortile di casa di Mosca.

(nella foto: il gasdotto Power of Siberia)

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