Gli anni venti del primo secolo del nuovo millennio appaiono sempre più come un déjà-vu dei turbolenti anni Settanta e Ottanta dell’ultimo secolo del vecchio millennio. Shock economici, inflazione, crollo delle banche, tensioni geopolitiche e ancora disordini sociali, scioperi e instabilità politica. A giudicare da come il vecchio occidente sta gestendo tutte queste crisi viene da domandarsi se la memoria storica esiste ancora o se qualcuno o qualcosa l’abbia cancellata.

Nel 1979 Paul Volker, nominato governatore della Riserva Federale, iniziava la sua battaglia contro l’inflazione che si trovava già all’11 per cento. Lo fece alzando i tassi d’interesse e contraendo l’offerta di moneta. I tassi salirono fin oltre il 15 per cento e il denaro in circolazione venne ‘razionato’ con l’intento di frenare la corsa dei prezzi verso l’alto. Nel 1983 la combinazione di queste due strategie produsse i risultati desiderati. Un vittorioso Volker dichiarò che l’inflazione era scesa al 4 per cento. Il prezzo pagato fu però altissimo: due recessioni, impennata dei tassi di disoccupazione e alta volatilità sui mercati finanziari.

Diverse banche vennero travolte dalla cura anti-inflazionista. Nel 1982 Penn Square Bank fu costretta a chiudere i battenti causando altri fallimenti, tra cui la Seattle First National Bank (Seafirst) nello stato di Washington; due anni dopo fu la volta della Continental Illinois National Bank and Trust Company che divenne il più significativo fallimento bancario fino alla crisi del 2007-2008. Il crollo delle banche fu causato dall’inaspettato e prolungato aumento dei tassi d’interesse e della crisi energetica. Un connubio micidiale. Quasi tutte le banche trovatesi in difficoltà avevano infatti sottoscritto il debito di paesi in via di sviluppo, e.g. America Latina, che l’aumento dei tassi aveva fatto gravitare a dismisura o avevano in portafogli partecipazioni di società energetiche ormai in serie difficoltà. In entrambi i casi i movimenti dei tassi e dei prezzi produssero squilibri nei loro bilanci, squilibri impossibili da contenere.

L’intervento della Riserva Federale per evitare il contagio bancario riuscì solo in parte, nonostante gli alti tassi d’interesse offerti ai risparmiatori. Si verificò infatti una flessione nei depositi che contribuì alla crisi del sistema bancario. Allora come oggi la fiducia della popolazione nel sistema finanziario vacillava. Oggi ci troviamo di fronte a uno scenario molto simile anche se non identico. Negli anni Settanta lo shock petrolifero, causato dai prezzi del petrolio che nel giro di una notte si quadruplicarono, innescò la spirale inflazionista anche se era dalla metà degli anni Sessanta che l’inflazione era in agguato.

Oggi a svolgere quel ruolo è stata la guerra in Ucraina. L’inflazione energetica e alimentare ha rappresentato oltre i due terzi dell’inflazione record nel 2022. I prezzi di prodotti alimentari, ad esempio il grano (come ingrediente di farine, pane e pasta) o i semi oleosi per i quali le importazioni dall’Ucraina e dalla Russia avevano avuto un ruolo importante prima della guerra, nel 2022 hanno registrato tassi di inflazione molto superiori alla media dell’inflazione alimentare.

La crisi bancaria e il crollo di alcune istituzioni bancarie sono ancora oggi legati alla scarsa fiducia nel sistema – Svb, come Credit Suisse e adesso la Deutsche Bank perdita di valore sui mercati sono vittime della sfiducia degli investitori e della clientela. Ma l’instabilità del settore bancario, ormai tangibile sui mercati, è anche il prodotto della medicina anti-inflazione, medicina che si chiama recessione. Non esiste nella storia economica un esperimento di successo contro l’inflazione che non si sia avvalso della recessione. E quindi sarebbe bene oggi prepararsi a un cambiamento di clima finanziario ed economico radicale che nella migliore delle ipotesi durerà per qualche anno.

A differenza degli anni Settanta e Ottanta, quando l’economia mondiale assorbì il colpo dell’aumento dei costi energetici ristrutturandosi intorno alle nuove variabili, oggi adattarsi alla guerra perenne in Ucraina non è possibile. Il conflitto continuerà a far gravitare i costi anche se l’economia mondiale troverà nuove fonti energetiche e alimentari. La guerra è un elemento di continua e profonda instabilità, il terreno migliore per far fiorire ripetutamente l’inflazione. Se non si pone fine alla guerra, l’amara medicina recessiva non funzionerà e noi saremo sempre più poveri.

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