Il 21 marzo si celebra la Giornata mondiale delle persone con la sindrome di Down. Il coordinamento di associazioni CoorDown anche quest’anno aderisce a livello internazionale con la campagna “Ridiculous excuses not to be inclusive” su TikTok, raccontando le situazioni di discriminazione che hanno vissuto donne e uomini con sindrome di Down e le scuse che vengono dette loro per non includerli nella società. Le associazioni hanno inoltre realizzato e promosso un video in cui bambini e giovani con sindrome di Down rimettono in scena episodi realmente accaduti di discriminazione e abilismo. Negli ultimi mesi, con l’aiuto di associazioni di tutto il mondo, CoorDown ha chiesto alle persone con sindrome di Down e alle loro famiglie quali fossero le scuse che si sono sentiti dire per essere esclusi da istruzione, sport, lavoro e altre opportunità.

“Con questa campagna abbiamo voluto affrontare il problema che riguarda ognuno di noi e che dà vita a ogni tipo di difficoltà ‘più grande’. Abbiamo voluto rendere visibile un fenomeno che le persone con sindrome di Down e i loro genitori, fratelli, sorelle e caregiver sperimentano quotidianamente tra pregiudizi, basse aspettative, veri e propri stereotipi che impediscono di vivere appieno la propria vita in ogni ambito”. A dirlo a ilfattoquotidiano.it è la presidente di CoorDown ODV Antonella Falugiani. “Sembrano piccoli eventi negativi, in realtà sono vere e proprie discriminazioni fatte spesso con un sorriso di circostanza o di inconsapevolezza che segnano però le vite e i cuori di chi le subisce. È arrivato il momento di abbattere anche questo muro e smascherare le false ‘buone intenzioni’ di chi per impreparazione, disinformazione o mancanza di comprensione ancora esclude le persone con disabilità intellettiva”. Da giorni grazie all’iniziativa su TikTok è possibile ascoltare la voce di giovani e adulti e le loro famiglie che raccontano con i loro video quante scuse ridicole hanno dovuto ascoltare e come hanno reagito per affermare il diritto a partecipare e a decidere su ogni aspetto della loro vita. “Va sostenuto un vero e concreto cambiamento culturale che renda inaccettabile l’esclusione dalla vita sociale di ogni persona“, afferma Falugiani.

Le storie La prima è raccontata da Daniela, madre di Angelo, ragazzo di 9 anni che vive in provincia di Cuneo. Avevano iscritto in prima elementare Angelo ad una scuola paritaria e all’apparenza il bambino era incluso perché trascorreva la giornata in classe con i compagni. Poi la verità esce fuori. “Ad Angelo era negata la possibilità di partecipare al programma e apprendere come gli altri compagni. Angelo non aveva diritto neanche ad avere i libri di testo”, spiega la madre. La giustificazione della scuola? “La sua diagnosi funzionale dice che ha un grave ritardo cognitivo, non comprende e non è in grado di apprendere. Perché perdere tempo a provarci?”. Angelo posto in queste condizioni ha iniziato da subito a non collaborare e meno collaborava meno gli proponevano. Nulla è servito provare a dimostrare loro che quella diagnosi non era idonea rispetto alle sue reali capacità. “Quest’anno abbiamo cambiato scuola, abbiamo trovato una maestra bravissima che crede in lui e si confronta giornalmente con me”. Angelo segue il programma di seconda, ha le sue modalità di apprendimento ma a fare la differenza è che la maestra cerca di comprendere ed adeguarsi a lui e non il contrario. “Sta apprendendo bene, lui è curioso e spinge i suoi interessi più avanti”, afferma Daniela. “Direi che lo stesso bambino in due contesti differenti ha dato risposte diverse”. Ora Angelo si sente parte della classe e vuole riuscire a entrare in relazione con i compagni.

La seconda storia viene dalla mamma di Francesco, 16enne di Milano che frequenta il terzo anno di un istituto alberghiero. Rita Viotti spiega di aver vissuto gli episodi di maggiore esclusione a scuola. “Le scuse per tenerlo fuori dalla classe sono state sempre molto fantasiose”, racconta. “Le insegnanti ci hanno fatto capire in tutti i modi che non c’era la volontà di conciliare la fragilità di Francesco con il resto dei suoi compagni, era meglio portarlo fuori e non disturbare”. Oggi Francesco fa sport, ama il basket, si allena per la maratona e la sua passione è la musica, frequenta il pomeriggio una scuola di musical. “Ha anche fatto uno stage di alternanza scuola-lavoro andato molto bene e che ci ha mostrato come esistano anche spazi e opportunità davvero inclusive. Il suo desiderio è avere una vita autonoma, vorrebbe fare il tiktoker come altri adolescenti, andare a vivere da solo magari con una fidanzata” dice Rita.

“Il lavoro è ancora un diritto tutto da garantire per le persone con sindrome di Down” – Le criticità evidenziate da CoorDown sono tante ma in particolare c’è la questione dell’inclusione lavorativa. “Purtroppo da una recente indagine che abbiamo realizzato su un campione di 400 persone distribuite su tutto il territorio nazionale – dichiara a ilfattoquotidiano.it Falugiani-, emerge come solo il 17,3% dei maggiorenni lavora e uno su cinque non è impegnato in alcuna attività”. CoorDown dal 2021 con la campagna “The Hiring Chain” sta continuando a impegnarsi per creare nuove opportunità e alleanze con le imprese e i datori di lavoro. Sulla piattaforma HiringChain.org oltre mille aziende da tutto il mondo hanno contattato CoorDown per chiedere informazioni o con l’intenzione di assumere. In Italia sono circa 35 le aziende con cui è stata avviata una collaborazione fattiva. “Un impegno che continueremo a portare avanti nel tempo senza sosta” dice la numero uno del coordinamento. “Per le persone con sindrome di Down, come per ognuno di noi, è fondamentale immaginare come costruire il proprio futuro e la propria autonomia nell’età adulta. Praticare percorsi che rendano immaginabile prima e concreta poi la vera indipendenza, comporta interventi precoci e ben programmati sul singolo e sul contesto”, conclude Falugiani.

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