Il Covid prima e la guerra in Ucraina dopo hanno fatto tornare alla ribalta un’attrice dimenticata che tutti, nel mondo della comunicazione, credevano ormai in pensione da tempo: la propaganda. Invece, dopo un intervallo di circa quarant’anni in cui era stata offuscata dalla pubblicità, sicuramente più innocua e trasparente nei metodi, oggi la propaganda ha ripreso il sopravvento e viene utilizzata a tutti i livelli (anche inconsapevolmente), dal giornalismo alla stessa pubblicità che, diciamolo, non è più in mano ai pubblicitari.

Secondo una credenza assai diffusa, a inventare la propaganda così come la intendiamo oggi fu Goebbels, ministro di Hilter. In realtà questa attività risale addirittura all’epoca dei romani, e fu concepita fin dall’inizio per condizionare l’opinione pubblica. Un grande impulso al suo utilizzo a livello globale lo diede la Chiesa cattolica che fondò quella che fu a tutti gli effetti la prima agenzia multinazionale in questo campo: la Propaganda Fide. Per avere una visione storica andrebbe letto Storia della Propaganda, di Jacques Ellul, pubblicato dalle Edizioni Scientifiche Italiane. Ma la sistematizzazione definitiva della propaganda sul piano metodologico è arrivata invece nel 900 grazie all’apporto della psicologia sociale, facendola diventare lo strumento ideale per il controllo delle masse. E così è rimasta. L’unica possibilità che abbiamo per riconoscerla e difenderci dalla sua influenza è studiarne i metodi. Per chi fosse interessato all’argomento, voglio suggerire qui di seguito una bibliografia essenziale.

Il vero padre della propaganda moderna fu Edward Bernays, nipote nientepopodimeno che di Sigmund Freud. Bernays cercò di trovare subito ciò che poteva evocare l’emozione irrazionale della massa ben sapendo che l’informazione da sola non era sufficiente a modificarne i comportamenti. Definì “relazioni pubbliche” la disciplina che aveva come obiettivo quello di influenzare larghe fasce della popolazione, un crimine che in seguito fu erroneamente attribuito ai pubblicitari: in realtà, i veri “persuasori occulti” erano e sono tutt’ora loro, gli esperti di relazioni pubbliche.

Nel 1923, dopo aver realizzato con successo per il governo americano la strategia di comunicazione per convincere il popolo americano a un coinvolgimento diretto nella Prima guerra mondiale, Bernays pubblicò un libro che riuniva la summa della sua esperienza: Crystallizing public opinion. Fu proprio quel testo a influenzare profondamente Josep Goebbels che, come rivelò al giornalista americano Wiegand, lo considerava tra i libri più preziosi della sua biblioteca.

In quelle pagine Bernays scriveva: “La manipolazione consapevole e intelligente delle abitudini organizzate e delle opinioni delle masse è un elemento importante in una società democratica. Coloro che manipolano questo meccanismo nascosto della società costituiscono un governo invisibile che ha il vero potere di governare nel nostro paese. Veniamo governati, le nostre menti vengono modellate, i nostri gusti influenzati, le nostre idee suggerite per la maggior parte da uomini di cui non abbiamo mai sentito parlare. Questa è la conseguenza logica del modo in cui è organizzata la nostra società democratica”. Bernays divenne presto uno dei consulenti più ascoltati dal governo degli Stati Uniti e rileggendolo è possibile comprendere quanta influenza abbia avuto nella formazione del modello con cui è gestita ancora oggi la democrazia americana.

Nel 1928 Bernays pubblicò Propaganda (trad. it.: Propaganda, Della manipolazione dell’opinione pubblica in democrazia, Lupetti), il suo testo più maturo sulla disciplina. Un anno dopo mise a segno un altro colpo da persuasore occulto: convinse un gruppo di femministe a marciare fumando delle sigarette durante la parata di Pasqua a New York. A quell’epoca, alle donne era vietato fumare in pubblico. Poi Bernays avvertì i giornalisti che le suffragette stavano per fare un’azione dimostrativa nella loro lotta per l’emancipazione femminile e la notizia andò su tutti i giornali degli Stati Uniti, realizzando all’insaputa di tutti, e per prime le femministe, una colossale campagna per dell’American Tobacco Company. Un colpo decisamente fortunato: manco a farlo apposta, le sigarette si chiamavano Lucky Strike… Quella che noi pubblicitari definiremmo opera del diavolo.

La pax consumistica dopo la Seconda guerra mondiale ha segnato una pausa nell’uso massivo della propaganda per qualche decennio, con l’uso della “modica quantità” costituita dalla pubblicità, che ha assicurato uno sviluppo costante del mercato trasformando i cittadini in consumatori compulsivi. Ma quando la geopolitica e l’economia hanno avuto bisogno di maggiori “guadagni” la propaganda è tornata prepotentemente alla ribalta con tutto il suo potere di manipolazione finanziaria, mediatica, accademica, pseudo scientifica e soprattutto politica.

Un esempio? Oggi in Occidente l’informazione denuncia il temibile “soft power” esercitato dalla Russia, senza indicare mai in che cosa consisterebbe, per poter almeno allertare i cittadini e fornire magari un modo per difendersene. Questo metodo, di fatto, è propaganda. E così, negli scorsi mesi, abbiamo assistito alla messa al bando di autori e artisti russi che sono da sempre patrimonio dell’umanità, in una sorta di cancel culture. Per soft power si intende una forma più “morbida” di propaganda che riesce a ottenere consenso presso la massa utilizzando la cultura e l’intrattenimento. Quindi, secondo coloro che hanno disseminato questa fobia, Dostoevskij e Rachmaninoff (tanto per citare due autori a caso) sarebbero dei pericolosi influencer e andrebbero censurati. Nessuno però ricorda che da tutto il dopoguerra a oggi chi ha usato veramente in modo intensivo il soft power sono stati gli americani, diffondendo film e serie televisive che celebravano il primato della cultura e della forza militare statunitense, capace di “difendere il mondo” da sempre nuovi nemici, come dimostra l’importante saggio di Tricia Jenkins, The CIA in Hollywood: How the Agency Shapes Film and Television, pubblicato dalla University of Texas Press.

La guerra è oggi l’evento che più ci tocca da vicino, più del cambiamento climatico, perché siamo noi a produrla. E occorre inquadrare il fenomeno in termini storici per comprendere come la continua fabbricazione di nuovi nemici, serva a tenere l’Occidente in uno stato di allerta costante favorendo la ricerca, la produzione e il commercio di sempre nuove armi. Per comprendere meglio come funzioni questo business e quanto sia alimentato dalla propaganda è indispensabile un saggio come Le guerre illegali della Nato, di Daniele Ganser pubblicato da Fazi Editore, che ripercorre in modo sistematico sul piano storico tutte le tappe della strategia bellica occidentale dal dopoguerra a oggi, strategia che ha coinvolto tutti i paesi alleati in continue guerre, in tempi di pace.

Ancora più importante, per comprendere in che modo la propaganda alimenti l’escalation nell’attuale conflitto, è il terribile saggio di Benjamin Abelow, Come l’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina, sempre di Fazi, accolto subito con entusiasmo dal più importante intellettuale americano, Noam Chomsky, e da poco uscito anche in Italia con la prefazione di Luciano Canfora. Al di là delle posizioni geopolitiche che ciascuno di noi può avere, il fatto che questo piccolo ma indispensabile libro sia schizzato subito in cima alla classifica di Amazon significa soltanto che anche da noi sempre più persone stanno cominciando a porsi molte domande su questa guerra, non riuscendo ad avere risposte soddisfacenti da un’informazione a reti unificate.

Quella che manca è una coscienza critica che permetta di difenderci subito da tutte le forme di propaganda, da qualunque parte esse provengano. Un’informazione incompleta o univoca è già di per sé un tentativo di manipolazione. E di fronte al pericolo di una guerra nucleare forse la gente sta cominciando ad accorgersene.

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