L’anniversario della Rivoluzione iraniana fa respirare le affollate carceri del regime di Teheran. Per celebrare la ricorrenza che portò al potere gli ayatollah, guidati dalla Guida Suprema Ruhollah Khomeini, il suo successore, Ali Khamenei, ha concesso la grazia a ”decine di migliaia” di detenuti. E tra questi, riportano i media statali, ci sono anche diversi manifestanti incarcerati nel corso delle proteste scoppiate dopo la morte di Mahsa Amini, la 22enne deceduta a settembre mentre era in custodia della polizia morale che l’aveva arrestata per aver indossato male il velo.

“I detenuti che non sono stati accusati di spionaggio a favore di agenzia straniere, di avere contatti diretti con agenti stranieri, di aver commesso omicidi volontariamente, di aver distrutto proprietà dello Stato o di essere stati querelati da un privato, verranno graziati”, riportano i media del Paese. Una decisione che, però, non deve apparire come un ammorbidimento della stretta governativa sulle opposizioni interne. È infatti usuale che il regime decida di liberare un gran numero di persone in occasione di ricorrenze legate a eventi rivoluzionari o di importanti festività religiose.

A testimonianza del fatto che la strategia del pugno duro rimane, al momento, l’unica seguita dall’esecutivo di Teheran ci sono gli arresti delle ultime ore. Come quello della giornalista Elnaz Mohammadi. La donna è sorella di Elahe Mohammadi, anch’essa reporter, incarcerata lo scorso 29 settembre dopo aver effettuato un servizio sul funerale di Mahsa Amini. Per questo è stata accusata di “propaganda contro il sistema e cospirazione per agire contro la sicurezza nazionale”, reati punibili con la morte.

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