La vittoria di Lula alle elezioni presidenziali brasiliane di ieri costituisce un elemento di forte speranza in una situazione internazionale estremamente disperata per molti aspetti. Certo, ora ci sarà il ballottaggio e nulla va dato per scontato, ma occorre essere consapevoli che tale vittoria rappresenta l’esito di una vicenda pluriennale estremamente ardua e contorta, contrassegnata dal ricorso dei nemici di Lula, che sono molti e potenti, ad ogni mezzo, ad ogni abuso, ad ogni crimine, pur di toglierlo definitivamente di mezzo, spianando così la strada alla nefasta presidenza di Bolsonaro.

Tale diabolica manovra è stata ispirata da tutti coloro che non avevano gradito l’esperienza presidenziale di Lula, la sua lotta alla fame e alla miseria e per un ruolo internazionale autonomo del Brasile e dell’America Latina, che egli ha spinto, con altri leader, primi fra tutti Chavez e Fidel, verso nuovi traguardi di integrazione. Stiamo parlando del governo statunitense, la cui dottrina politica internazionale profonda continua ad essere ispirata, al di là di ogni apparenza, dall’insegnamento enunciato 210 anni fa circa dal presidente Monroe, che prevedeva l’intramontabile dominio dell’amministrazione di Washington sull’emisfero occidentale. Ma stiamo parlando anche delle multinazionali dedite allo sfruttamento illimitato delle risorse naturali che ha posto le condizioni dell’attuale disastro ambientale, purtroppo forse irreversibile. E ovviamente dei signori della finanza mondiale che sostengono e orientano l’uno e le altre.

Lo sforzo restauratore prodotto congiuntamente da questi poteri forti e avversari irriducibili di ogni norma e di ogni diritto che possano in qualche modo limitarne gli appetiti insaziabili si è diretto dapprima contro Dilma Roussef, ascesa al soglio presidenziale dopo Lula, che veniva esautorata in maniera costituzionalmente molto dubbia dal ventre molle e corrotto del Parlamento di Brasilia. La manovra si è orientata subito dopo contro lo stesso Lula, coll’intento di impedirne la partecipazione alle elezioni presidenziali che si andavano annunciando e che ne avrebbero visto senza alcun dubbio la vittoria contro il pessimo Bolsonaro, esponente dell’estrema destra asservita totalmente alle multinazionali e nostalgica della dittatura. Strumento del complotto è stato il cosiddetto giudice Moro che, come dimostrato da successive inchieste giornalistiche, ha agito dietro promessa di futuri vantaggi personali e politici. Si è trattato del caso più noto e importante del cosiddetto lawfare, ovvero dell’uso strumentale congiunto del diritto e dei media come strumenti di lotta politica. In quanto tale esso è ricostruito con mirabile esattezza scientifica e meticolosa precisione storica, nel libro sul lawfare scritto proprio dagli avvocati di Lula che abbiamo tradotto col Centro di ricerca ed elaborazione per la democrazia (Cred) e che sarà pertanto presto pubblicato solo in Italia.

Vittime del lawfare sono state anche molte altre persone, tra cui personalità progressiste dell’America Latina, come il presidente ecuadoriano Correa e quella argentina Cristina Fernandez Kirchner, vittima anche lei di un’oscena e infondata montatura giudiziaria, prima di rischiare di esserlo della pallottola di un killer fortunatamente maldestro. Il lawfare del resto è stato inventato da esponenti del mondo militare e politico statunitense, il che spiega l’alta densità dei leader politici latinoamericani tra i bersagli di questa strategia antidemocratica che, distorcendo il diritto per piegarlo a finalità improprie, risulta del tutto contrario ad ogni principio giuridico, facendo di giudici compiacenti e giornalisti comprati i burattini indegni del potere. Papa Francesco ha speso al riguardo parole del tutto condivisibili, sostenendo che “Si verifica periodicamente che si faccia ricorso a imputazioni false contro dirigenti politici, avanzate di concerto da mezzi di comunicazione, avversari e organi giudiziari colonizzati. In questo modo, con gli strumenti propri del lawfare, si strumentalizza la lotta, sempre necessaria, contro la corruzione col fine di combattere governi non graditi, ridurre i diritti sociali e promuovere un sentimento di antipolitica del quale beneficiano coloro che aspirano a esercitare un potere autoritario”.

Da qui al ballottaggio Bolsonaro e coloro che lo manovrano tenteranno ogni mezzo per impedire l’elezione di Lula, ma non ci riusciranno. La vittoria di Lula porrà un ulteriore decisivo tassello nella necessaria e urgente costruzione di un’America latina solidale che possa costituire un fattore essenziale nella lotta per la pace e la giustizia a livello internazionale. A fronte dei successi della sinistra latinoamericana, però, stanno le inquietanti vittorie della destra europea, dalla Svezia all’Italia, che del resto ben si armonizzano colla realtà di un continente allo sbando, vittima sacrificale degli interessi statunitensi e probabile futuro campo di battaglia della guerra globale. Uno scenario, questo dell’Europa in rapido declino, nel quale siamo chiamati ad operare per restituire il futuro alle giovani generazioni, combattendo in modo intransigente le destre e le finte sinistre asservite alla Nato e al Capitale, prendendo esempio dai nostri fratelli e sorelle del Brasile e dell’America Latina.

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