di Bortolo

Da convinto antiproibizionista (testimone di brutte storie della mia generazione), ho dato i miei primi voti a ciò che restava dei Radicali, un partito dal programma ben definito e dal passato pieno di azioni concrete per smuovere le coscienze. Quando il partito ha aderito alle coalizioni di centro-sinistra (Ulivo, Unione e similari), non li ho più votati. Mal sopportavo in queste coalizioni la presenza di ex-democristiani, volti da Prima Repubblica, per me cimeli da Medioevo. Per la stessa adesione a tali coalizioni non contemplavo altri partiti come Verdi, essendo ambientalista, o Rifondazione Comunista, che avrei votato per ideologie adolescenziali.

Ho inserito nelle urne tante schede nulle, ma senza mai disinteressarmi della politica. Mi sono sempre informato, dai libri ai quotidiani, dai telegiornali ai documentari, fino alle chiacchiere con gli amici tesserati o impegnati attivamente. Ho sempre cercato di rimanere al margine, per guardare da fuori e cercare di avere un’idea mia, incontaminata. Compito che vent’anni fa era più facile di oggi, epoca in cui tutto è estremamente manipolato, da filtrare.

La delusione per il panorama politico è aumentata negli anni, non avendo neanche un partitino di “sinistra radicale” da votare, estinti in massa dopo l’ammucchiata de “L’Unione” e di “Sinistra Arcobaleno”. Nessun brandello di programma di mio gradimento: quando nacque Sel, la cui “E” nel nome stava per “Ecologia”, aveva nel programma ben poco di ecologia. Ero come Nanni Moretti aspettando che D’Alema in tv dicesse “qualcosa di sinistra”.

Ho seguito da lontano la nascita del Movimento 5 stelle: un amico partecipava ai meetup locali quando ancora non era nato il partito. Era un’idea romantica quella della democrazia dal basso, che chiunque potesse dire la sua negli incontri e nelle mailing list. Avevo un pregiudizio molto negativo: i toni del blog di Grillo erano sempre sopra le righe, immaginavo i suoi seguaci come dei black-bloc con la fionda in mano, mai pensando che prendessero corpo fino a comparire sulla scheda elettorale. Temi come ambientalismo, lotta alla corruzione, povertà, pacifismo, cose “di sinistra” si vedevano ormai solo nei documentari in bianco e nero. Quindi li ho votati.

Mi sono pentito varie volte del voto, inorridito per l’alleanza con la Lega, con il Pd, per l’imbarco di gentaglia, gli auto-boicottaggi di Grillo, il supporto a Draghi, Cingolani, le scissioni, errori e fallimenti a ripetizione. Come un partito qualunque ha promesso tanto e mantenuto poco. Ciò nonostante considero la loro esperienza un mezzo miracolo. Sono riusciti a smuovere la paludosa politica italiana con una ventata di freschezza: battaglie, espulsioni, temi sul tavolo come incandidabilità, mandati, restituzioni, lobby, Nato e argomenti scomodi. Perciò è stato osteggiato da tutti, qualcosa hanno fatto e il mio voto non è stato buttato al vento. Ho visto qualcosa di diverso, non la solita politica fine a se stessa.

In cabina elettorale si dovrebbe scegliere per le idee, per un programma concreto e per i risultati conseguiti da chi ha governato prima, specie se è lì da tempo immemore. Sarei a favore di un “patentino” per votare, ma è una fantasia ardita, elitista.

Negli Usa le elezioni sono una farsa, vota solo il 40% degli aventi diritto ed è precisamente quello che i politici vogliono: solo voti dalla clientela, manipolabili. In Italia abbiamo già abbastanza problemi di corruzione, se l’astensionismo sale alle stelle bruciamo quel poco di democrazia che ci resta (dal 1945 siamo un po’ ingessati). Da anni i sondaggi falsati danno partiti di destra a percentuali bulgare: anche solo per questo andrei a votare, per dimostrare quanto siano false queste percentuali.

Ho sempre votato, anche scheda nulla, perché è un dovere civico (Art. 48 della Costituzione, un tempo era anche dovere giuridico), e perché se non voto di sicuro reggo il gioco di chi a Roma vuole andarci solo per la poltrona.

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