Ai primi di ottobre, l’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano è stato condannato a 13 anni e 2 mesi: una pena che ha stupito e contrariato per la sua severità molti politici, giornalisti e attivisti che avevano seguito la sua vicenda giudiziaria, che ruota intorno a una serie di controverse accuse legate al sistema di accoglienza dei migranti organizzato da Lucano nel suo paese. Il metodo messo in piedi da Lucano era stato descritto come un modello per i principi di solidarietà a cui si ispirava, ma secondo i giudici del tribunale di Locri nascondeva invece un’associazione a delinquere responsabile di abuso d’ufficio, truffa, concussione, peculato, turbativa d’asta, falsità ideologica e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

La pena di Lucano, stabilita nel primo grado di giudizio, è stata addirittura quasi il doppio rispetto a quella richiesta dal procuratore capo di Locri, Luigi D’Alessio, e dal pubblico ministero Michele Permunian ( 7 anni e 11 mesi di carcere).

Molto diverso il trattamento riservato a Pietro Genovese, che il 22 dicembre del 2019 aveva investito e ucciso in Corso Francia, a Roma, le due sedicenni Gaia e Camilla. Genovese era stato condannato in primo grado a otto anni e mezzo: una condanna che grazie ad un patteggiamento era stata ridotta in Appello a 5 anni e 4 mesi, da trascorrere ai domiciliari, e successivamente all’obbligo di dimora dalle 22 alle 7 del mattino.

Ora è tornato pienamente libero e spetterà al tribunale di sorveglianza, con una nuova istruttoria ancora da fissare, decidere come dovrà scontare i tre anni e sette mesi di pena residua. In teoria è ancora possibile il carcere, più verosimile sembra invece l’affidamento in prova ai servizi sociali (sulle orme di Berlusconi, che evitò il carcere aiutando le vecchiette di un pensionato e raccontando loro le sue celebri barzellette).

Non sono mai stato fra i più feroci nel giudicare Genovese, sia perché ricordo ancora le bravate notturne mie e dei miei pochi amici che già nei primi anni Sessanta avevano il privilegio di guidare la macchina di famiglia sia perché le due ragazze attraversavano in una zona male illuminata di Corso Francia. Resta però alta la responsabilità di Genovese, sia per la velocità eccessiva con cui guidava sia per un livello etilico troppo elevato.

Mi sorprende il fatto che nessuno (giornalisti e politici) abbia messo in relazione le due vicende evidenziando quella che ritengo una scandalosa disparità di trattamento. Mi auguro che qualcuno scenda in campo non tanto per aggravare la pena del giovane romano quanto per chiedere con forza l’assoluzione del sindaco di Riace, colpevole a mio avviso solo di eccesso di umanità e – forse – di qualche infrazione nelle norme di gestione del suo comune (quanti dovrebbero essere i processi tenendo conto che i Comuni in Italia sono circa ottomila ed il modo in cui molti di essi sono amministrati?).

La verità è che per Lucano si è scelta una pena che dissuada gli altri sindaci dall’aiutare qualcuno dei tanti immigrati che cercano di integrarsi in Italia dopo essere riusciti a fuggire dalla miseria – e spesso dalle torture – dei paesi di provenienza: quegli sfortunati esseri umani che Matteo Salvini osò definire “giovani palestrati” (e ora che comincia il processo al leader della Lega speriamo che i giudici si ricordino anche questa sua macabra ironia, assieme alla foto straziante del cadaverino di un immigrato abbandonato su una spiaggia).

Per concludere, credo che ci siano due giustizie in Italia, quella per Genovese e quella per Lucano. E su questo tutti gli italiani – politici, giornalisti e comuni cittadini – dovrebbero protestare e ribellarsi con forza.

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