Dall’Emilia alla Sicilia, passando per Marche e Abruzzo, sono sette i decreti di Valutazione di impatto ambientale (Via) su cui il ministero della Transizione ecologica Roberto Cingolani ha posto la sua firma nelle ultime settimane e che riguardano altrettanti rinnovi di concessioni, progetti di messa in produzione di pozzi e di perforazione, sia su piattaforma sia onshore. Decreti che hanno suscitato l’indignazione di associazioni ambientaliste e di esponenti politici. La questione è di opportunità: i provvedimenti non sanno certo di Transizione ecologica, anche se sono legittimi per due ragioni. Intanto perché quei decreti non sono titoli minerari e, quindi, non rappresentano un via libera definitivo, ma solo un’autorizzazione intermedia. In secondo luogo, perché la moratoria prorogata fino al 30 settembre 2021 (data entro cui dovrà essere approvato il Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee) sospende i nuovi permessi per la ricerca e la prospezione di idrocarburi ma consente ai procedimenti amministrativi di andare avanti (Via comprese).

Prova ne è, come sottolineano i No-Triv, la serie di proroghe di concessioni Eni nell’ultimo Bollettino ufficiale degli idrocarburi e delle georisorse “che non sono state neppure sfiorate dal alcuna sospensione”. Tra i primi a segnalare la firma dei decreti di Via, sui social, Re:Common e i Fridays For Future che l’hanno definita “Una vergogna senza fine” commentando: “E la chiamano transizione ecologica...”. Pur sottolineando che “non si tratta di titoli minerari”, è duro il commento del deputato del M5S Giovanni Vianello, membro della commissione Ambiente alla Camera: “Siamo esterrefatti e preoccupati e riteniamo che il Mite avrebbe potuto aspettare l’ormai vicina approvazione del Pitesai – ha detto a ilfattoquotidiano.it – perché questi decreti di Via, che non avrebbero alcun valore se le relative aree di interesse dovessero risultare non idonee nel piano, rappresentano comunque un passo nella direzione opposta alla transizione ecologica, ossia quella delle trivellazioni”.

I NUOVI DECRETI – I decreti, firmati anche dal ministro della Cultura Dario Franceschini, riguardano le Via relative al rinnovo delle concessioni minerarie ‘Barigazzo’ e ‘Vetta’, entrambe in Emilia Romagna, per la coltivazione di idrocarburi gassosi, i progetti di messa in produzione del pozzo a gas naturale ‘Podere Maiar 1dir’ (nell’ambito della concessione di coltivazione ‘Selva Malvezzi’, sempre in Emilia Romagna) e del giacimento per la coltivazione di idrocarburi ‘Teodorico’, fra l’Emilia Romagna e il Veneto. Poi ci sono i progetti di perforazione di tre pozzi, nell’ambito di concessioni di coltivazione di petrolio e gas già esistenti: il pozzo ‘Calipso 5 Dir’ nelle Marche, il pozzo ‘Donata 4 Dir’, fra Marche e Abruzzo e il pozzo esplorativo Lince, in Sicilia. “Parliamo, quindi, anche di creazione di nuove piattaforme – spiega a ilfattoquotidiano.it Giovanni Mori, portavoce dei Fridays For Future – come nel caso del pozzo ‘Calipso 5 Dir’, che Eni vorrebbe scavare al largo di Ancona. Noi crediamo che non si possa tirare la corda da entrambi i lati, ma bisogna scegliere la direzione dove andare”.

LE REAZIONI – “A quanto pare si tratta per lo più di procedure già avviate – commenta Marco Grimaldi, responsabile nazionale ambiente di Sinistra Italiana – con bisogno di integrazioni, o dell’ampliamento di attività esistenti che sfuggivano alla momentanea sospensione in attesa dell’adozione del Pitesai”. Per Grimaldi “i pareri positivi di compatibilità ambientale rilasciati in questi giorni dai ministri Cingolani e Franceschini vanno di pari passo con una scarsa chiarezza”. Ma cosa bisogna aspettarsi, a questo punto, nei prossimi mesi? Intanto contro i decreti di Via si possono presentare ricorsi davanti al Tar. Poi, però, ci sarà il nuovo piano a dettare legge. “Il Pitesai indicherà quali sono le aree dove non è più possibile né fare ricerca né trivellare e per quelle non ci sarà più nulla da fare, neppure se le concessioni sono già in essere – spiega il deputato Giovanni Vianello – ma ritengo che l’Italia debba bloccare definitivamente, anche nelle aree che il piano riterrà idonee, nuovi permessi per trivellazioni ed air gun e questo è l’obiettivo della mia proposta di legge depositata alla Camera”.

QUELLE CONCESSIONI MAI SOSPESE – Un problema che si è posto anche Enrico Gagliano, co-portavoce del Coordinamento Nazionale No Triv, leggendo il nuovo Buig, pubblicato il 31 marzo scorso. “Colpisce la ‘lenzuolata’ di proroghe di un bel numero di concessioni Eni – commenta a ilfattoquotidiano.it – che non sono state neppure sfiorate dal alcuna sospensione. Altro che Blocca Trivelle”. Nove di queste proroghe hanno decorrenza retroattiva, cioè vanno a prorogare oggi titoli già scaduti anche nel 2017. “È il meccanismo delle proroghe automatiche – spiega – che nessun Governo dopo quello Monti ha voluto abrogare”. Alcune si collocano nell’off-shore ravennate e saranno parte integrante del progetto Eni per la produzione di idrogeno blu destinato all’area industriale di Ravenna. “Un progetto – commenta Gagliano – che viaggerà assieme al sistema di cattura e stoccaggio di Co2 (CCS) targato Eni che ci ritroveremo quasi certamente nel nuovo Pnrr di Franco e Draghi”, anche se è stato espunto dall’ultima versione di piano preparata dal governo Conte 2.

LA RIFLESSIONE – D’altronde già nelle ore successive al mini-proroga di sette mesi della moratoria, Greenpeace Italia, Legambiente e WWF avevano sottolineato che il Parlamento non stava risolvendo il problema e avevano chiesto alle forze politiche di maggioranza “di dotare quanto prima il nostro Paese di una legge, che stabilisca un chiaro termine ultimo di validità delle concessioni per l’estrazione degli idrocarburi e che preveda, di conseguenza, un fermo delle autorizzazioni per le attività di ricerca e prospezione degli idrocarburi”. Una legge analoga a quelle approvate in Francia e, recentemente in Danimarca (uno dei maggiori produttori di petrolio della Ue). L’europarlamentare dei Verdi Eleonora Evi ha anche rivolto alla Commissione europea un’interrogazione parlamentare, chiedendo se l’eventuale ritorno delle trivelle fosse compatibile con gli obiettivi del Green Deal, anche in considerazione di eventuali pericoli per l’ambiente marino. “La risposta della Commissione – spiega – sottolinea con decisione che i combustibili fossili, compreso il gas, non fanno parte del futuro energetico dell’Ue e che le attività ad esse legate vanno ridotte, lasciando spazio a fonti energetiche compatibili con gli obiettivi climatici e con il Green Deal europeo”.

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