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Processo Miteni, a Vicenza 11 condanne per inquinamento da Pfas: in tutto sono 141 anni di carcere

Quattro imputati sono stati condannati a 17 anni ciascuno, altri a 16 anni, mentre in 4 sono stati assolti. Al ministero dell’Ambiente è stato riconosciuto un risarcimento di 58 milioni di euro
Processo Miteni, a Vicenza 11 condanne per inquinamento da Pfas: in tutto sono 141 anni di carcere
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Un pugno di manager è stato condannato per il colossale inquinamento da Pfas che ha coinvolto in Veneto le falde acquifere delle province di Vicenza, Padova e Verona, anche se la politica è rimasta fuori dall’aula del processo Miteni celebrato di fronte alla Corte d’assise di Vicenza. Pene detentive pesantissime, fino a 17 anni di reclusione. Risarcimenti milionari, con la cifra massima di 58 milioni di euro concessa al ministero dell’Ambiente, che adesso dovrà mettere mano alle bonifiche. Dopo quattro anni e 130 udienze, dopo l’interrogatorio di alcune centinaia di testimoni e l’avvicendamento di circa 300 parti civili, le richieste dei pubblici ministeri sono state sostanzialmente accolte. Il dispositivo letto dalla presidente Antonella Crea, dopo sei ore di camera di consiglio, ha stabilito che l’azienda Miteni di Trissino è all’origine dello sversamento degli “inquinanti eterni”, le sostanze perfluoroalchiliche utilizzate nelle produzioni industriali, fonte di ricchezza e di lauti guadagni, ma anche causa di gravi danni alla salute per centinaia di migliaia di persone che bevevano inconsapevolmente l’acqua di casa.

Undici dei 15 imputati sono stati dichiarati colpevoli, quattro le assoluzioni. Le pene detentive sono in totale pari a 141 anni di reclusione. Quattro imputati sono stati condannati a 17 anni ciascuno, altri a 16 anni. A febbraio i pubblici ministeri Hans Roderich Blattner e Paolo Fietta avevano chiesto 9 condanne, per complessivi 121 anni e sei mesi di reclusione. I giudici sono andati oltre, ritenendo provati tutti i reati di avvelenamento delle acque destinate all’alimentazione umana, disastro ambientale, inquinamento ambientale e bancarotta fraudolenta. Solo la gestione non autorizzata di rifiuti è stata prescritta. Nei capi d’imputazione non risultavano contestazioni nei confronti degli enti pubblici che avrebbero dovuto vigilare sullo svolgimento delle attività imprenditoriali della Miteni, ma la conferma di un inquinamento che ha interessato decine di Comuni, con responsabilità penali senza precedenti, dimostrano come il fenomeno avrebbe potuto essere scoperto molto prima del 2013, se vi fossero stati controlli adeguati, da parte di Provincia di Vicenza, Regione Veneto e di alcune amministrazioni comunali. In ogni caso gli enti pubblici, costituitosi parti civili, sono stati risarciti.

“Quell’azienda era una bomba atomica innescata, una bomba a orologeria che ha causato un disastro ambientale, con gravi effetti sulla popolazione” aveva detto il pm Blattner concludendo la requisitoria. La sentenza dimostra che aveva ragione. Nell’elenco troviamo i manager che si sono avvicendati nella gestione della Miteni. Innanzitutto i giapponesi di Mitsubishi Corporation che hanno avuto il controllo della Miteni dal 2002 al 2009: 11 anni per Maki Hosoda, 60 anni, business manager 2002-2008 (era stata chiesta l’assoluzione); assoluzione per Kenij Ito, 68 anni, business manager 2008-09; 16 anni di reclusione per Naoyuki Kimura, presidente o consigliere Miteni dal 2003 al 2009; 16 anni per Yuji Suetsune, 64 anni, presidente Miteni dal 2003 al 2006. Le responsabilità di Mitsubishi vanno ricondotte alla conoscenza della tossicità dei Pfas che risalirebbe almeno al 2005. La Procura ha sostenuto che i vertici sapevano, ma nascosero la verità continuando impunemente a produrre.

Del secondo gruppo fanno parte i vertici della società lussemburghese Icig-International chemical Investors, proprietaria di Icig Italia 3 holding srl, che ha acquistato la Miteni nel 2009, pagandola un solo euro. Una cifra simbolica, che secondo l’accusa era motivata dalla consapevolezza di Mitsubishi e di Icig della disastrosa situazione che sarebbe stata lasciata in eredità, con costi enormi per le bonifiche dei terreni e delle acque. Queste le decisioni dell’Assise: 17 anni di reclusione per Hendrik Schnitzer, 67 anni, amministratore delegato 2009-2018; 17 anni per Georg Hannes Riemann, 72, consigliere 2009-2018; 17 anni per Alexander Nicolaas Smit, 82, cittadino olandese, residente in Francia, presidente Miteni 2009-12; 17 anni per l’irlandese Brian Anthony Mc Glynn, 68 anni, residente a Milano, presidente o amministratore delegato Miteni dal 2007 al 2018, 4 anni 6 mesi per Martin Leitgeb, presidente Miteni dal 2017 al fallimento.

Il livello operativo è compreso nel terzo gruppo di imputati, composto da responsabili di stabilimento o dell’area tecnica, per i quali i pm avevano chiesto alcune assoluzioni. Sono stati inflitti 6 anni 4 mesi ad Antonio Nardone, 63, consigliere delegato agli scarichi dal 2015 in poi; 17 anni a Luigi Guarracino, 69, di Alessandria, direttore operativo o amministratore delegato Miteni 2009-2012 (il pm aveva chiesto 12 anni); assoluzione per Mario Fabris, 63, di Fontaniva (Padova), direttore tecnico 2005-09; 2 anni 8 mesi per Davide Drusian, 51 anni, di Marano (Vicenza), procuratore dal 2007 al 2018; assoluzione per Mauro Cognolato, 53 anni, di Strà (Venezia), procuratore con delega ambientale 2010-11; assoluzione per Mario Mistrorigo, 74 anni di Arzignano, procuratore in materia sicurezza e ambiente dal 1996 al 2010. La richiesta dei Pm era motivata dal fatto che, pur avendo avuto una delega ambientale, gli imputati non potevano interferire sul potere di spesa della Miteni.

L’accusa di bancarotta fraudolenta è legata alla previsione di dissesto economico, provocato dal danno ambientale arrecato che già dal 2008 avrebbe dovuto indurre i vertici aziendali a sospendere le attività. Le spese per radere al suolo lo stabilimento e ripristinare lo stato dei terreni e delle acque sarebbe stato enorme, almeno 17 milioni e mezzo di euro, che non furono contabilizzati nei bilanci. Sterminato l’elenco dei risarcimenti agli enti pubblici e alle parti civili.

Il cuore del processo, iniziato nell’estate 2021, è costituito dalle sostanze perfluoroalchiliche Pfas (Pfos, Pfoa- Gen X) prodotte dalla Miteni che voleva diventare leader mondiale, nonostante negli Usa un’attività simile condotta dalla Dupont e da 3M avesse causato danni enormi. Il dibattimento ha provato i rapporti diretti con le aziende americane e lo scambio di informazioni tecniche che avrebbero dovuto mettere sull’avviso, ma furono ignorate. Manuel Tagliaferri, un maresciallo del Noe di Treviso, ha testimoniato confermando la scoperta di un report sui possibili rischi ordinato da Miteni e custodito in una sede periferica in Brianza. L’azienda era stata fondata dal gruppo Marzotto di Valdagno come Rimar (Ricerche Marzotto) negli anni Settanta del secolo scorso. Nel 1985 era entrata in società Enichem, qualche anno dopo Mitsubishi Italia. Nel 1992 era così sorta la Miteni. Poi i giapponesi erano rimasti da soli, fin quando era avvenuta nel 2009 la gestione a Icig.

L’allarme si era profilato nel 2013 con uno studio Irsa-Cnr sui Pfas presenti nei fiumi italiani. Nel mirino erano finite la Miteni in Veneto e la Solvay di Spinetta Marengo in Piemonte. Arpav e Regione Veneto si erano attivate a fatti compiuti. Erano stati gli esposi di Legambiente, Medicina democratica, Movimento 5 stelle e di alcune associazioni ambientaliste a far avviare le inchieste penali, tirando in ballo anche l’Istituto Superiore di Sanità e la Regione Veneto. Su questi fronti politici non vi sono mai stati indagati.

I territori delle tre province furono suddivisi in aree di inquinamento, con decine di Comuni coinvolti, a cominciare da quelli della “zona rossa” i cui abitanti hanno bevuto per anni l’acqua con Pfas dai rubinetti di casa. Le persone interessate all’inquinamento sono state circa 350 mila, i Pfas avrebbero causato gravi malattie e tumori. Un’indagine epidemiologica ha quantificato in 4.000 le possibili vittime in un arco di tempo di circa trent’anni.

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