Economia

Anche la Ue riconosce che l’inflazione è trainata dai profitti. E spiega perché i consumatori hanno “accettato” i rincari

In Italia il deflatore del pil (una misura delle pressioni sui prezzi) risulta però salito più degli utili, che invece sono esplosi soprattutto in Spagna e ancora di più in Slovenia e nelle Repubbliche baltiche

Dopo le analisi della Bce anche la Commissione europea, nelle sue previsioni di primavera, riconosce come il forte aumento dell‘inflazione nell’Eurozona sia stato trainato lo scorso anno dall’andamento dei profitti aziendali. Con il “corollario”, spiega Bruxelles in uno dei box tematici allegati alle Spring forecast, di uno “spostamento nella distribuzione del valore aggiunto tra imprese e lavoro, con la quota dei profitti cresciuta sopra la sua media pre pandemia mentre la quota di reddito che va al lavoro è scesa in modo analogo”. La salita degli utili è stata trasversale ai settori e ai Paesi, ma i dati sono piuttosto eterogenei: stando al grafico pubblicato dall’esecutivo Ue, per esempio, in Italia il deflatore del pil (una misura delle pressioni domestiche sui prezzi) risulta salito più dei profitti, che invece sono esplosi soprattutto in Spagna e ancora di più in Slovenia e nelle Repubbliche baltiche.

Nel 2021, ricorda la Commissione, l’inflazione ha rialzato la testa per effetto dei costi dell’energia e delle materie prime, fortemente aumentati a causa degli choc innescati dall’invasione russa dell’Ucraina. Ma in seguito anche l’inflazione core, quella che esclude i prezzi energetici e degli alimentari, è salita vertiginosamente. Per effetto, appunto, del trasferimento dell’aumento dei costi sui prezzi finali al consumo. “Nel 2022 i profitti sono aumentati costantemente, crescendo a un tasso record del 9,3% anno su anno nel quarto trimestre. Questo aumento ha contribuito per 3,2 punti alla crescita del 5,8% del deflatore del pil, contribuendo all’inflazione domestica più dei costi del lavoro”. La corsa dei profitti spiega dunque più di metà di quella dell’inflazione.

L’analisi cerca anche di indagare come i profitti siano diventati un fattore inflattivo e perché i consumatori abbiano accettato gli aumenti dei prezzi. Già durante la recessione pandemica sia il costo del lavoro sia i profitti sono calati meno del pil perché la forte domanda di beni stimolata dai lockdown “ha consentito all’industria di aumentare i mark-up”. I servizi hanno seguito a ruota, quando le restrizioni sono state tolte nel 2022. Mentre il settore energetico beneficiava dell’aumento dei prezzi del gas. Nel frattempo “la diffusione degli choc sui prezzi può aver portato a una maggiore accettazione degli aumenti da parte dei consumatori, perché possono essere diventati meno inclini a vederli come aumenti peculiari e “punire” un’azienda rivolgendosi ai concorrenti“. In parallelo, “carenze di approvvigionamento per molti beni e commodity, causate da lockdown e guerra, possono aver aumentato il potere dei loro produttori di fare il prezzo”.

Che indicazioni si possono trarre per il futuro? Secondo la Ue, posto che non è detto che gli utili vengano distribuiti agli azionisti il loro aumento potrebbe anche consentire alle imprese di far fronte ad aumenti dei salari senza per questo aumentare ancora i prezzi. Evitando, quindi, un ulteriore effetto di rinforzo dell’inflazione (second round effect). Il problema è che questa evoluzione si verificherà solo se la quota di profitto si riduce. In caso contrario, come ha già avvertito la Bce in uno studio di fine marzo, si materializzerà una spirale al rialzo destinata a “rendere tutti più poveri“.