L’aborto in Italia, e in molti altri Paesi, non è un diritto, o meglio è un diritto – e lo afferma anche l’attuale ministra per le Pari opportunità, che a chi le chiede se è un diritto, risponde: “sì, purtroppo ” – ma che, sempre più spesso, trova difficoltà e ostacoli che lo rendono non pienamente esigibile.

Partendo da questo presupposto Simona De Ciero ha sentito l’urgenza, dovuta al momento che stiamo attraversando, di scrivere il libro Il diritto di scegliere. Sull’aborto. Storie e riflessioni oltre la retorica, ed. La Corte. Un libro che riesce a fondere con equilibrio e armonia dati, informazioni, riferimenti storici dettagliati e puntuali, testimonianze di chi opera in quel settore e storie vere, storie vissute da donne che raccontano i problemi, le sofferenze, i percorsi che hanno dovuto affrontare per esercitare un diritto: il diritto di scegliere e di decidere quando e come interrompere o proseguire una gravidanza.

Dorota, Francesca, Kinsley, Marta, Mia, Simonetta, Stefania, Teresa sono i nomi di fantasia di donne coraggiose che hanno condiviso con l’autrice esperienze personali di un particolare momento della loro vita per raccontare quello che ancora oggi è la scelta o la non scelta della maternità: un percorso che può aggiungere sofferenza alla sofferenza.

C’è la storia di Kinsley, una giovane statunitense che vive nel South Dakota e che nel luglio 2022 aveva deciso di abortire ma che a causa della sentenza della Corte Suprema, che ha dato ai singoli Stati il diritto di legiferare sull’aborto volontario sino a renderlo completamente illegale, si è vista rifiutare la possibilità di abortire perché lo Stato in cui vive ha deciso di negare questo diritto. Kinsley è turbata da questo inaspettato impedimento e non sa cosa fare. Le restano pochi giorni per trovare una clinica in uno Stato dove l’aborto è ancora concesso e l’improvviso blocco degli interventi in tanti Stati rende ancora più difficile trovare una soluzione. Tutto questo però non le impedisce di partecipare alla manifestazione contro la decisione della Corte Suprema organizzata dal movimento Women’s March a Washington davanti alla Casa Bianca per protestare contro la sentenza Dobbs v. Jackson. Crede, e a ragione, che l’arretramento dei diritti si contrasti con la partecipazione e la mobilitazione. E sono veramente tante e tanti, donne e uomini che manifestano pacificamente, per chiedere a Biden e al partito democratico di contrastare in qualsiasi modo la decisione della magistratura federale degli Stati Uniti d’America.

Ci sono le storie di Francesca e Stefania, due amiche di 32 e 39 anni che scoprono di essere incinte a pochi giorni di distanza l’una dall’altra, gravidanze non cercate e volute e quindi entrambe sono piene di dubbi, paure, sensi di colpa, di ricerca di risposte per una decisione non facile che coinvolge anche i loro compagni, ma che entrambe sono sicure di dover prendere in piena autonomia. Due donne che non sono ragazzine ma che, come la maggior parte delle donne che vanno incontro ad una gravidanza indesiderata, non vogliono che parenti e amici ne vengano a conoscenza perché, dice Stefania, “alla fine un aborto resta un fatto traumatico e molto intimo”.

Lo stigma che l’aborto ancora si porta dietro, la narrazione, non reale, che per tutte sia un momento terribile e doloroso, i sensi di colpa che i movimenti antiabortisti cercano di far emergere con tutti gli strumenti a loro disposizione (cartelloni antiabortisti, rosari di fronte agli ospedali dove si praticano aborti, i feti di plastica distribuiti davanti ai consultori) contribuiscono a rendere angoscioso il momento della scelta, che non è mai in ogni caso una scelta facile e lieve, e anche se non traumatica non è mai superficiale.

Francesca e Stefania faranno scelte diverse e Simona De Ciero scrive di loro: “Sono molto grata per la generosità dimostrata da queste due donne che, mentre mi raccontavano la loro storia, avevano il piglio di due vulcani in eruzione per la rabbia provata pensando a quanto siano state, pur nel dolore, privilegiate. La loro vicenda infatti spiega bene, e con la forza della verità, come decidere che cosa fare di una gravidanza indesiderata sia tutt’altro che una scelta superficiale”.

L’autrice analizza in modo approfondito tutti gli ostacoli che oggi la Legge 194 deve superare per essere correttamente applicata: obiezione di coscienza, depauperamento dei consultori, scelte politiche dei governi nazionali e regionali sull’Ivg e sulla contraccezione. Ma lo sguardo non è solo sul nostro Paese, il diritto all’aborto sta arretrando anche in molti Paesi progressisti e sta avendo limitazioni rilevanti, che in pratica finiscono per cancellare completamente questo diritto, in Paesi sovranisti e oscurantisti.

Ma perché i governi vogliono impedire, ostacolare le donne nella scelta di decidere liberamente su una gravidanza indesiderata? Alla fine il nucleo di tutto, il cuore della questione è uno: la libertà di autodeterminarsi delle donne. Una società patriarcale non può consentire la libertà di scelta sul loro corpo. Sul corpo delle donne si gioca e si è sempre giocata una partita politica e lasciare alle donne la libertà di compiere scelte autonome in campo sessuale e riproduttivo è il primo passo per sgretolare quel modello patriarcale e indebolire il dominio maschile. Il problema è culturale e spesso scelte incomprensibili sono fatte anche da governi progressisti, ma è chiaro che dove la politica è in mano a politici conservatori e reazionari c’è una spinta maggiore a limitare l’autodeterminazione delle persone, e delle donne in particolare, in ogni campo, ma specialmente in quello dei diritti sessuali e riproduttivi.

Per questo motivo credo che anche nel nostro Paese ci sia un rischio reale di tornare terribilmente indietro, erodendo a poco a poco diritti che pensavamo acquisiti: Il diritto di scegliere fotografa realisticamente questo pericolo.

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