Al punto 5 c’è la ritrovata “centralità dell’Italia a livello internazionale”, di cui sarebbe prova il fatto che la premier di un Paese del G7 abbia partecipato “a diversi vertici multilaterali” tra cui “il Consiglio europeo” oltre ad aver tenuto “60 tra contatti e incontri con capi di Stato stranieri”. I punti 8 e 13 sono all’insegna dell’ottimismo sempre rivendicato da Giorgia Meloni: danno per fatti sia il “Piano Mattei per l’Africa”, che al momento è con tutta evidenza solo un auspicio, sia “l’Italia hub energetico d’Europa“. Ingenuità ed esagerazioni a parte, l’elenco dei 100 principali risultati del governo diffuso in occasione del simbolico traguardo dei primi 100 giorni a Palazzo Chigi contiene però anche palesi inesattezze, reticenze e falsità che non sfuggiranno ai diretti interessati, dai dipendenti pubblici ai cittadini che speravano di poter accedere al bonus psicologo.

Il Piano Mattei per l’Africa – Meloni ha parlato della necessità di un “Piano Mattei” per l’Africa già durante il suo discorso di insediamento, due giorni prima del sessantesimo anniversario della morte del primo presidente dell’Eni Enrico Mattei. Le slide dei 100 giorni, sotto quella voce, assicurano che è stato “avviato” il percorso “per creare un modello virtuoso di collaborazione e crescita tra Europa e Nazioni africane” attraverso “diversi accordi bilaterali” (la premier in gennaio ha visitato Algeria e Libia). Tradotto: il Piano consiste semplicemente nel tentativo di riesumare la cosiddetta formula Mattei, che consisteva nella firma di joint venture tra il Cane a sei zampe e le società statali degli idrocarburi dei Paesi esportatori per le convenienza di entrambe le parti. Nulla di nuovo, con la differenza che il progetto stride con lo sforzo di decarbonizzazione della Ue e con la necessità di non sostituire la dipendenza dalla Russia con acquisti da Paesi altrettanto instabili e in ottime relazioni con Mosca.

Italia hub energetico – Sotto il titoletto “Italia hub energetico d’Europa”, Chigi annota con spericolato entusiasmo che “un primo passo è già realizzato”. Quale? “Via libera della Commissione allo stanziamento di 307 milioni di euro per co-finanziare un elettrodotto sottomarino di circa 200 km tra Italia e Tunisia” che costituirà “un nuovo corridoio energetico tra Africa ed Europa”. In effetti il via libera è arrivato a dicembre. Ma se tutto va bene l’interconnessione sottomarina da 600 MW, prevista da un’intesa sottoscritta nel 2019, sarà operativa nel 2028.

L’aumento della produzione da rinnovabili – Un altro successo vantato dal governo è l'”aumento della produzione di energia rinnovabile” in Italia, nonostante secondo i dati di Terna la produzione da rinnovabili nel 2022 sia scesa per la prima volta dal 2014 sotto i 100 TWh (-13% sul 2021). Altra cosa è la capacità installata, che è salita di 3.036 MW. Molto meno, comunque, di quanto prospettato dall’ex ministro Roberto Cingolani che aveva parlato di “oltre 5 GW” (pari a 5.000 MW) attesi. Come “prova” si riporta peraltro l’approvazione del decreto Fer2 per l’incentivazione degli impianti alimentati con rinnovabili innovative. Quel decreto, però, le aziende del settore ancora lo aspettano: il ministro Pichetto Fratin ha fatto sapere a fine gennaio che è all’esame dell’Ue per le verifiche di compatibilità.

Il caro carburante – Qui salta all’occhio un’omissione macroscopica: i punti 2o e 21 rivendicano i sostegni contro il caro carburante per l‘autotrasporto e il settore agricolo. Non una parola sul mancato rinnovo del taglio delle accise che gravano sugli automobilisti e sulle infinite polemiche seguite ai rincari.

Il prezzo del gas – Il governo sostiene che “grazie soprattutto all’Italia, in particolare alla costanza di questo governo, è stato introdotto un tetto europeo al prezzo del gas“. E che “la prima conseguenza è stato un repentino calo del prezzo, ridimensionatosi nel giro di pochissimi giorni”. Meloni lo ha ribadito anche da Berlino, in conferenza stampa con il cancelliere Olaf Scholz, sostenendo che la revisione al ribasso delle tariffe per il mercato tutelato annunciata da Arera “è il risultato di una lunga battaglia che c’è stata in Europa”. A spingere per l’introduzione di un tetto è stato come si ricorderà fin dal marzo 2022 l’ex premier Mario Draghi, senza risultati. L’accordo, decisamente al ribasso, è arrivato solo il 19 dicembre: prevede una soglia di ben 180 euro al megawattora che deve essere superata per almeno 3 giorni di fila. Gli esperti lo ritengono del tutto inefficace. Il prezzo in quel momento era già in discesa (era a 110 euro/mwh) e da allora è calato di molto (sotto i 60 euro), ma per altri motivi, come confermato anche nell’ultima nota congiunturale dell’Ufficio parlamentare di bilancio: un inverno che per la maggior parte è stato molto mite e consumi in forte calo che hanno fatto scendere le quotazioni sui mercati internazionali.

La revisione del Pnrr – Al punto 23 si festeggia una “Intesa con la Ue per la revisione del Pnrr” che “permetterà una gestione più efficiente dei fondi Pnrr per far fronte alle nuove necessità e priorità scaturite in seguito ai recenti eventi internazionali, come la guerra in Ucraina e il caro energia“. Il governo non ha mai annunciato di aver siglato un’intesa bilaterale del genere, che in ogni caso non sarebbe necessaria visto che è lo stesso regolamento istitutivo del Pnrr a definire in quali circostanze sono ammesse modifiche e come presentarle. Basti dire che Germania e Lussemburgo hanno già chiesto e ottenuto revisioni. In più è noto da mesi che tutti i Paesi potranno aggiungere ai loro Recovery plan un nuovo capitolo con investimenti e riforme mirati a raggiungere gli obiettivi di RePower Eu, il piano per liberarsi dalla dipendenza dal gas russo. L’1 febbraio la Commissione ha pubblicato una bozza di linee guida su come condurre questo “update”, consentito proprio alla luce dei “cambiamenti del contesto geopolitico” dopo l’invasione russa dell’Ucraina e dei conseguenti rincari e problemi di approvvigionamento. Insomma: l’impressione è che il governo presenti come proprio successo una possibilità offerta a tutti i 27.

La “tregua fiscale” – Ancora una volta, a dispetto di quel dice chiaramente la relazione tecnica della sua manovra, il governo afferma di non aver approvato “alcun condono, ma una tregua fiscale”. Subito dopo però riconosce che c’è la “cancellazione delle cartelle” sotto i 1000 euro, che è per definizione un condono, a cui si aggiungono una nuova rottamazione, ravvedimenti speciali e definizioni agevolate delle controversie con il fisco. La relazione tecnica – scritta dal governo – mostra che la somma di queste misure ridurrà le entrate dello Stato di almeno 3,5 miliardi (1,4 al netto dei maggiori introiti) nei prossimi nove anni.

Le pensioni – Il punto sul tema ricorda la “rivalutazione delle pensioni minime al 120% del tasso di inflazione” e l’aumento a 600 euro per il solo 2023 di quelle degli over 75. Silenzio sul taglio della perequazione degli assegni oltre i 2.100 euro lordi.

La sanità – “Incrementate le risorse per il Fondo sanitario nazionale: 2 miliardi e 150 milioni di euro in più per il 2023″, recita il punto 42. Vero, quei soldi sono previsti in manovra. Ma buona parte di quell’incremento – 1,4 miliardi – sarà usato per far fronte ai rincari energetici che colpiscono anche le strutture sanitarie. Medici e infermieri lamentano l’assenza di fondi per appesantire le loro buste paga.

Il bonus psicologo – “Diventa strutturale“, mette nero su bianco il governo. “E sale da 600 a 1500 euro con Isee fino a 50mila euro”. Ma lo stanziamento si ferma a 5 milioni di euro contro i 25 a disposizione per il 2022, decimando la platea dei beneficiari.

I rinnovi contrattuali dei dipendenti pubblici – “5 miliardi di euro per i rinnovi contrattuali di sanità, scuola ed enti locali”, recita il punto 99. Si è portati a pensare che siano soldi a disposizione per rinnovi futuri, invece si tratta delle risorse messe in campo con lo sblocco dei contratti per il triennio 2019-2021. In manovra c’è solo 1 miliardo con cui sarà finanziato un versamento una tantum pari all’1,5% dello stipendio.

Le misure copiate – Colpisce, nel complesso, che nel selezionare i 100 interventi bandiera dei primi 100 giorni (l’elenco completo era assai più lungo, ha detto Meloni nel suo video su facebook) il governo abbia incluso misure copiate e incollate da esecutivi precedenti. Da quelle contro il caro energia mutuate da Draghi agli incentivi all’occupazione, che replicano gli esoneri contributivi decisi dal governo Conte.

I suini sardi – Sarà che occorreva scovare un contentino anche per i residenti nelle isole, ma uno dei risultati chiave rivendicati nella lista è la “fine dell’embargo delle carni suine sarde“. La decisione è stata in effetti presa dalla Ue il 15 dicembre. Ma era nota e attesa da luglio, come dimostrano i comunicati estivi del governatore Christian Solinas. All’epoca, al governo c’era ancora Draghi.

I nuovi Re di Roma

di Il Fatto Quotidiano 6.50€ Acquista
Articolo Precedente

L’Ufficio parlamentare di bilancio: “I salari non stanno dietro all’inflazione e l’aumento dei consumi è finanziato dai risparmi”

next
Articolo Successivo

Il Covid non è bastato per tornare a investire in sanità: “Nessun altro grande Paese Ue spende così poco in rapporto al pil”. Il rapporto della Corte dei Conti

next