I primi assegni dovrebbero arrivare nei prossimi giorni, entro febbraio. Si avvia così alla chiusura uno degli ultimi assurdi capitoli della saga dell’Inpgi, la ex cassa di previdenza dei giornalisti che a luglio è confluita nell’Inps. Quello della cinquantina di giornalisti prepensionati dal 30 giugno in poi e rimasti per mesi senza pensione e senza stipendio, per il solo fatto di essere capitati nel bel mezzo del passaggio della Cassa all’Istituto nazionale di previdenza.

Passaggi di consegne saltati? Accordi poco accurati? Desolante, ma possibile. Non ha sicuramente aiutato il fatto che la circolare Inps sui prepensionamenti sia rimasta ferma al ministero del Lavoro insieme al rendiconto dell’Inpgi al 30 giugno scorso, dove si trovano tuttora entrambi. La questione non è secondaria perché senza l’approvazione del rendiconto da parte del ministero, la cassa dell’Inpgi non viene girata all’Inps. E nel totale è incluso il fondo di solidarietà che finanzia la mancata decurtazione dell’assegno mensile dei prepensionati, come previsto da accordi firmati a Palazzo Chigi oltre 10 anni fa.

Non agevola neanche il fatto che gli editori si tirino indietro davanti al pagamento della loro quota in virtù di un accordo con il sindacato in base al quale la Federazione nazionale della stampa italiana avrebbe dovuto incassare il fondo per finalità sociali per girarlo a terzi. Senza il contributo appunto degli editori. L’accordo, effettivamente approvato dal cda dell’Inpgi, è stato bocciato dai ministeri competenti perché anche il fondo di solidarietà fa parte dello stato patrimoniale dell’Inpgi e quindi dovrebbe passare direttamente nelle casse dell’Inps. Non parliamo di bruscolini, bensì di una settantina di milioni di euro.

In questo stallo rischiano di finire i futuri titolari di prepensionamento. Ma non è l’unica cosa in bilico. Anche quel che resta dell’Inpgi, la cassa degli autonomi e collaboratori, è ancora lontana da un nuovo assetto nonostante la separazione dai lavoratori subordinati sia stata celebrata ben sei mesi fa. Ad essere aperta è innanzitutto la questione dello statuto del nuovo ente che non è stato ancora approvato, contro una previsione di legge che aveva fissato un termine iniziale al 30 giugno 2022 poi spostato al 31 gennaio di quest’anno, pena il commissariamento.

La questione torna sul tavolo del consiglio in queste ore. Ma per arrivare a una quadra bisognerà che vengano superati due scogli principali, l’elezione diretta del cda su base nazionale e, soprattutto, la gestione delle sedi dell’istituto che la maggioranza vorrebbe affidare per statuto ai sindacati regionali tramite convenzioni tra Inpgi e Fnsi, che garantirebbero alla federazione un’entrata annuale di circa 2 milioni di euro. Intanto che si discute, l’ente continua a mantenere metà dell’organico pre scissione con annessi e connessi … finché c’è cassa c’è speranza.

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