L’attacco alla legge anticorruzione Severino e un probabile nuovo bavaglio per combattere quello che definisce il “processo mediatico“. Una promessa in piena regola anche perché per il viceministro della Giustizia il “Paese vive nel timore di essere indagato“. Toni che ricordano il periodo dei governi di Silvio Berlusconi e infatti apartengono a Francesco Paolo Sisto, senatore di Forza Italia. Intervenuto all’assemblea dei comuni italiani a Bergamo il viceministro ha spiegato che strada intende battere il governo di Giorgia Meloni sulla Giustizia. A cominciare da alcuni provvedimenti graditi agli amministratori locali. Come l’abuso d’ufficio definito “un passaggio ineliminabile perché si possa provare ad allentare questa morsa. Dobbiamo liberare i pubblici amministratori dalla burocrazia difensiva e dalla paura della firma e lo dice anche la Corte Costituzionale”. Cosa intende fare il governo su questo fronte? “Non so se sarà possibile un intervento di tipo abolitivo o modificativo ma si potrebbe pensare, lo dico come ipotesi, a intervenire sull’abuso d’ufficio di vantaggio, quello è un momento in cui il legislatore deve intervenire decisamente Si potrebbe pensare come ipotesi a un intervento per lasciare l’abuso di danno, queste sono ipotesi allo studio del ministero”

Il dibattito sulla Severino – Ma nel menù di Sisto c’è anche altro. A cominciare dalla legge Severino, prima vera legge anticorruzione italiana, approvata esattamente dieci anni fa. “La Legge Severino ingiustamente penalizza pubblici amministratori condannati con sentenza di primo grado e che devono subire conseguenze prima che la sentenza diventi definitiva e questo vale anche per l’abuso d’ufficio, un reato scivoloso non per come è scritto, ma per come è giudicato”, ha detto il viceministro della Giustizia all’evento dell’Anci. Il riferimento è per quella parte della Severino che impone la sospensione dalla carica per sindaci e governatori condannati in primo grado. Una modifica nella norma era prevista dai sei referendum sulla giustizia promossi dalla Lega di Matteo Salvini e dai Radicali, che proponevano di abrogare il divieto di ricandidatura per i politici condannati in via definitiva. Quel quesito, però, non fu appoggiato da Giorgia Meloni, che decise di sostenerne soltanto quattro su sei. I referendum di Salvini e i Radicali, in ogni caso, vennero bocciati dal voto. All’epoca Meloni disse che abrogare la legge che sancisce l’incandidabilità per i condannati definitivi sarebbe stato “un passo indietro nella lotta alla corruzione e rischierebbe di dare il potere ad alcuni magistrati di scegliere quali politici condannati far ricandidare e quali interdire dai pubblici uffici”.

Meloni e la paura della firma – Oggi Meloni ha usato toni diversi. Parlando dallo stesso palco di Sisto ha spiegato che è “arrivato il momento di affrontare il tema della responsabilità dei sindaci: bisogna definire meglio a partire dall’abuso d’ufficio le norme penali per i pubblici amministratori che oggi hanno un perimetro così elastico che” lasciano spazio a “interpretazioni troppo discrezionali“. La premier ha rispolverato il concetto di “paura della firma” che “inchioda la nazione”. E a proposito della Severino, Meloni ha aggiunto: “Dobbiamo mettere i sindaci e gli amministratori in condizione di firmare serenamente, di sapere se la firma costituisce o meno un reato: non si reclamano impunità ma regole certe sul perimetro della legalità: non si tratta di salvaguardare i furbi ma di tutelare gli onesti che vogliono fare bene il proprio dovere. Il governo si metterà al lavoro per modificare alcuni reati contro la Pubblica amministrazione, a partire dall’abuso di ufficio”.

“Il Paese teme di essere indagato” – Ma all’evento dell’Anci si è parlato anche d’altro. Il viceministro Sisto, infatti, ha annunciato che intervenire sul “processo mediatico sarà uno degli scopi di questa fare del governo per evitare che ci sia un processo parallelo a quello nelle aule giudiziarie da parte dei mass media da cui non c’è difesa”. Secondo Sisto “il Paese vive nel timore di essere indagato in contrasto con l’articolo 27 della Costituzione, la presunzione di non colpevolezza fa sì che in questo Paese possa essere considerato colpevole soltanto chi è stato condannato con sentenza definitiva, ma così non è: per i pubblici amministratori una informazione di garanzia costituisce un elemento di condanna e questo è un dato che va registrato con molta chiarezza e molta franchezza da cui dobbiamo prendere le mosse, il processo è già pena. Questa presunzione di colpevolezza è una inversione senza difesa perché non c’é possibilità di difendersi da un marchio unilaterale di un pubblico ministero“.

Oltre il bavaglio Cartabia – Resta da capire come si tradurranno in termini di legge le parole del viceministro della Giustizia. Un bavaglio per limitare il cosiddetto “processo mediatico” è stato già approvato dal governo di Mario Draghi e dalla guardasigilli Marta Cartabia, recependo al direttiva europea sulla presunzione d’innocenza. Una norma che dà una stretta alla comunicazione di investigatori e pm e che vedeva in Sisto – sottosegretario in via Arenula durante il precedente esecutivo – uno dei primi sostenitori. Evidentemente, però, il berlusconiano pensa di poter fare ancora meglio, o peggio, dipende dai punti di vista. E se quello di Sisto è stato solo un antipasto per le portate principali bisognerà aspettare il primo dicembre, quando il guardasigilli Carlo Nordio presenterà in Parlamento le sue linee programmatiche del governo sulle giustizia.

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