L’inchiesta va avanti, perché restano diversi tasselli da mettere insieme per ricomporre cosa è accaduto nel quartiere romano di Prati. Manca l’arma, innanzitutto, che il killer delle tre prostitute avrebbe utilizzato. Dopo il fermo di Giandavide De Pau, accusato dei femminicidi, proseguono quindi le indagini degli investigatori della Squadra mobile di Roma per ricostruire tutti i suoi movimenti prima e dopo le incursioni in via Durazzo e via Riboty. Lunedì è stata ritrovata la sua automobile, una Toyota iQ, a bordo della quale il presunto assassino si sarebbe spostato tra le due abitazioni per poi allontanarsi dall’area dei delitti. Lungo il tragitto, secondo gli inquirenti, avrebbe fatto un incidente stradale. L’auto, ritrovata in un deposito, risulta infatti danneggiata. L’uomo avrebbe poi raggiunto in taxi la casa della madre, nel quartiere Ottavia, dove è stato rintracciato in seguito alla telefonata ai carabinieri da parte della sorella. Nessuna traccia, invece, dell’arma del delitto. L’ipotesi è che De Pau abbia usato uno stiletto per assassinare le tre donne.

Sull’arma utilizzata risposte potrebbero arrivare dall’autopsia che oggi i magistrati di piazzale Clodio affideranno ai medici dell’istituto di medicina legale del Gemelli dove da tre giorni si trovano le tre salme. Obiettivo è tentare di accertare se le ferite sui corpi siano state siano state provocate dalla stessa lama. Martedì De Pau comparirà, inoltre, davanti al giudice per le indagini preliminari per l’interrogatorio di convalida del fermo. Nei suoi confronti l’accusa è di triplice omicidio aggravato e i pubblici ministeri non gli contestano la premeditazione. E ora è al vaglio anche la posizione della prostituta, una 25enne di origine cubana, che aveva passato la sera prima con lui e secondo alcuni quotidiani lo ha incontrato anche dopo la morte di Martha Castano e le due cittadine cinesi ancora senza nome. La donna ha detto ai giornalisti di avere paura, di essere incinta e ha anche, stando al Messaggero, chiesto soldi per poter raccontare le ore passate con il presunto killer.

Il 51enne, che durante il lungo interrogatorio ha detto di ricordare solo il sangue, è controllato a vista nel reparto Covid del carcere di Regina Coeli. “Sono stato nella casa delle cinesi, ma il resto non lo ricordo, ho solo buio nella mente. Sto male”, ha sostanzialmente detto De Pau che ha però negato di essersi recato in via Durazzo, in linea d’aria 850 metri dall’appartamento delle due donne asiatiche, ancora non identificate, di via Riboty. “C’era sangue, ho tamponato anche la ferita di una delle ragazze”, il passaggio verbalizzato dagli inquirenti. Poi il blackout durato, secondo quanto raccontato dall’uomo che ha precedenti per droga e anche un episodio di violenza sessuale, circa due giorni durante il quale avrebbe “vagato per la città senza dormire e mangiare, con gli abiti ancora sporchi di sangue”.

Invece parte di quel tempo lo avrebbe passato con la giovane cubana che, come anche suo fratello, è stata sentita dagli investigatori poco prima del fermo. In mano agli inquirenti anche il cellulare che l’uomo ha lasciato nell’appartamento al primo piano di via Riboty prima della “fuga”. Lo smartphone potrebbe risultare un tassello fondamentale per ricostruire quanto avvenuto nelle ore precedenti ai fatti. L’uomo, che nel 2008 e nel 2011 è stato ricoverato in un centro psichiatrico, era in cura presso un Sert e seguiva un percorso farmacologico dopo che gli era stata diagnosticata una patologia legata al disturbo della personalità.

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