Il cittadino iraniano-americano Bagher Namazi può lasciare l’Iran quando lo vorrà: la decisione, presa a causa del suo stato di salute, è stata annunciata dal responsabile per le questioni internazionali della Giustizia iraniana Kazem Gharibabadi. La notizia della liberazione dell’ex responsabile Unicef arriva mentre i cortei di proteste in corso da altre due settimane nel Paese vengono repressi dalle forze di sicurezza di Teheran: seconda la ong Iran Human Rights (IHR), ci sono già oltre 130 vittime. Intanto il presidente iraniano Ebrahim Raisi parla di una “cospirazione dei nemici” dell’Iran che a suo dire “è fallita“. Così definisce le manifestazioni in corso per la morte della 22enne curda Mahsa Amini dopo il suo arresto da parte della polizia morale perché non indossava il velo nel modo previsto: i manifestanti chiedono il riconoscimento dei diritti delle donne.

La liberazione di Namazi – Insieme a suo figlio Siamak, l’85enne Bagher Namazi era stato condannato a 10 anni di reclusione per spionaggio. Era in cura da quattro anni nella sua casa di Teheran. A giugno Namazi aveva pubblicato un editoriale sul NY Times in cui “implorava” il presidente Usa Joe Biden di considerare uno scambio di prigionieri con Teheran per consentirgli l’espatrio. Namazi aveva chiesto a lungo di poter andare all’estero per curarsi, e Gharibabadi ha precisato che la decisione di lasciarlo partire risale a mercoledì. Il figlio Siamak ha ricevuto un permesso di una settimana per andare a visitare i genitori, ha aggiunto. Namazi era stato detenuto nel febbraio 2016 quando si era recato in Iran per far liberare suo figlio, un uomo d’affari iraniano-americano arrestato l’anno prima. Entrambi erano stati condannati a dieci anni di prigione per spionaggio. L’anziano era stato esentato dallo scontare la pena nel 2020 ma non poteva lasciare l’Iran nonostante i suoi problemi di salute.

Le proteste nel Paese – Sono saliti a 133 in Iran i morti dall’inizio delle proteste scoppiate nel Paese dopo la morte della 22enne Mahsa Amini, deceduta il 16 settembre. Lo riferisce la ong Iran Human Rights (IHR), con sede a Oslo, precisando che il numero include 41 persone che sono state uccise il 30 settembre in quello che viene definito un ‘venerdì di sangue’ di repressione da parte delle forze di sicurezza a Zahedan, nella provincia di Sistan e Baluchistan, dove dopo le preghiere del venerdì dimostranti si erano radunati per protestare contro lo stupro di una 15enne da parte del capo della polizia di Chabahar. Secondo Iran Human Rights, i 41 morti sono stati riferiti da Baluch Activists Campaign, mentre il governatore provinciale ha solo confermato 19 morti e 20 feriti a Zahedan.

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