“Serve un bagno d’umiltà. Se sottovalutiamo il segnale che ci ha dato l’elettorato rischiamo di andare al due per cento”. Roberto Marcato è uno degli assessori chiave della Regione Veneto. Leghista da trent’anni, alle scorse regionali è stato il più votato con oltre undicimila preferenze. Al polso indossa un braccialetto verde Lega. “Nord” ci tiene a precisare prima di parlare del “tracollo” delle politiche.

Qui, nella terra del Doge Luca Zaia, il Carroccio è passato dal 50 per cento delle regionali al 14 per cento del 25 settembre. La metà dei consensi che ha incassato Fratelli d’Italia. “Una ferita, un colpo al cuore” racconta Michele Rettore, anche lui iscritto alla Lega dal 1992: “Vedere un partito romanocentrico superarci nei luoghi dove avevamo raggiunto un consenso straordinario è sconvolgente” spiega Rettore davanti alla bandiera con il leone di San Marco appesa sulla parete della sede. Qui si tenevano i congressi nei quali i segretari venivano eletti dalla base. Ma da qualche anno “siamo stati tutti commissariati e l’attività democratica è stata interrotta all’interno del partito”.

E la Lega ha perso terreno. “Abbiamo rischiato di perdere quel ruolo di cinghia di trasmissione tra la segreteria federale e le persone – spiega l’assessore Marcato – senza le segreterie che organizzano gli incontri con i parlamentari, senza le cene di fine anno, senza le pizzate di Natale, la disaffezione del militante è una prospettiva concreta ed è quello che è successo”. Per questo all’indomani del voto lo stesso Marcato aveva pubblicato sui suoi social un messaggio semplice: “Cronaca di un disastro annunciato”.

I segnali sul territorio c’erano tutti. Da dove ripartire adesso? “Tornare alle origini, alla base” dice Alvise Vianello, studente universitario e consigliere comunale di Noventa Padovana mentre mostra con orgoglio la sua prima tessera della Lega Nord. Appena ha compiuto diciotto anni si è iscritto al partito “mosso dall’amore per il federalismo che era la base del movimento”. Una visione condivisa anche dai militanti di lunga data. Secondo Marcato bisogna ripartire da due parole: identità e coerenza. “Negli ultimi anni abbiamo perso un pochino di identità per cui uno faceva fatica a capire la differenza tra noi e Fratelli d’Italia – aggiunge Marcato – ma noi siamo profondamente diversi. FdI è statalista, romanocentrica, Dio Patria e Famiglia. Noi non siamo sta roba qua, la mia patria è il Veneto, l’Italia è il paese in cui vivo”.

L’altro grande tema è quella della leadership. Negli scorsi giorni la vecchia guardia della Lega si è fatta sentire. Il fondatore Umberto Bossi ha chiesto di “tornare ad ascoltare la voce del Nord mentre l’ex segretario Roberto Maroni, dalle colonne de “Il Foglio”, ha proposto Luca Zaia come nuovo segretario. Per le strade del Veneto in tanti lo vedrebbero bene alla guida del Carroccio. “Rispetto a Salvini ha dimostrato di mantenere le promesse” racconta al mercato di San Vito, nel padovano, Christian Barin. Ma tra i militanti veneti c’è anche chi teme di perderlo.

“Mi rimetto a quello che dice lui – spiega Vianello – e lui dice no perché appartiene al popolo veneto e questo mi ha fatto innamorare di lui”. Tra quelli che hanno chiesto un cambio della leadership c’è l’europarlamentare Gianantonio Da Re. All’indomani delle elezioni aveva scritto sui suoi canali social: “Questa disfatta ha un nome e cognome: Matteo Salvini. Quindi, si dimetta! Passi la mano a Massimiliano Fedriga e fissi in anticipo i congressi per la ricostruzione del partito”. Oggi tornando sull’argomento precisa: “I segretari si cambiano e hanno un loro periodo. Io non voglio un segretario che non ascolta nessuno ma uno che ascolta tutti. Non è possibile ascoltare solo il cerchio”.

Il cerchio. Una parola che ritorna anche nell’analisi di Rettore. “Oggi il tema non è il segretario ma il cerchio che c’è attorno – spiega il militante leghista – attorno a Salvini si è creato un cerchio magico”. Un errore secondo i militanti che ricorda “quello che fece Bossi”. Al di là di Zaia, il Veneto è destinato a giocare un ruolo chiave all’interno di questa fase post elettorale. “Abbiamo avuto il ruolo di detonatore perché da sempre questa regione è un grande laboratorio politico – ricorda Marcato – il partito nasce qui e quindi è giusto che abbia questo ruolo di critica”.

Ma la “Lega per Salvini Premier” è destinata ad avere ancora una dimensione nazionale in futuro? “Quella svolta è stata anche giusta – risponde l’eurodeputato Da Re – ma non può essere un partito nazionale dimenticando le nostre origini, il nostro territorio e le nostre dinamiche”. L’obiettivo è quello di recuperare quella parte di elettorato che è si è rivolto a Fratelli d’Italia senza rischiare di sovrapporsi. “Se essere un partito nazionale vuole dire fare la brutta copia di FdI siamo morti – conclude Marcato – se invece nell’unità del paese si fa emergere la peculiarità territoriale dando rappresentanza ai territori attraverso autonomia e federalismo che rinnovi questo paese allora così va bene. Se nazionalità significa Dio Patria e Famiglia, io non sono nato in un partito così ma credo che il 99 per cento dei militanti non si siano iscritti in Lega per questo motivo”.

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