Sequestrati, deportati, rinchiusi in centri di detenzione, costretti a indossare uniformi da carcerati e a imparare a memoria l’inno russo. Sono queste le testimonianze che giungono alle orecchie dell’organizzazione non governativa, Human Rights Watch. In un report del 14 luglio, l’ong ha denunciato il caso di nove civili ucraini prelevati e fatti sparire dalle forze russe, durante l’occupazione della regione attorno a Kiev. Secondo quanto appreso dall’ong, i civili sono stati trattenuti nelle strutture di detenzione di Kursk e Bryansk, in Russia, tra il 26 Febbraio e il 18 marzo. Cinque di loro sono originari di Bucha, due di Hostomel, uno di Dymer, e uno della città di Dorohynka. “Le autorità russe dovrebbero rilasciare tutti gli ucraini che sono detenuti in Russia e assicurare che tutti colori i quali sono sotto la loro custodia, che siano dentro o fuori dal territorio ucraino, che siano combattenti o civili, siano ufficialmente registrati presso il Comitato della Croce Rossa Internazionale“, ha dichiarato Tanya Lokshina, direttrice del programma Europa e Asia Centrale di Human Rights Watch.

Come ricordato dall’ong, già a giugno, la Missione delle Nazioni Unite di Monitoraggio dei diritti umani in Ucraina aveva documentato centinaia di casi di detenzione arbitraria nelle zone occupate dai russi o da gruppi affiliati. Non solo. L’Onu ha anche parlato della commissione di altre violazioni gravi dei diritti umani, come torture, trattamenti inumani e degradanti e deportazione dei civili verso i territori della Federazione Russa. Durante il periodo di detenzione, gli avvocati a cui si erano rivolte le famiglie degli scomparsi hanno cercato più volte di accedere alle strutture, senza però riuscirci. Vani anche i tentativi degli stessi familiari di contattare le autorità che gestiscono questi centri, le quali hanno negato la presenza dei soggetti in quelle strutture. Una situazione di completa illegalità che rappresenta un grave rischio per l’integrità fisica e psicologica dell’individuo. “I civili ucraini detenuti dalle forze russe non solo perdono la libertà, ma devono anche fronteggiare una serie di rischi alla propria salute e alla propria vita, senza un controllo legale”, denuncia Tanya Lokshina.

Secondo quanto appreso dalle famiglie, i loro congiunti sono stati trattati non come civili, ma come prigionieri di guerra. Il diritto internazionale umanitario, quella branca del diritto internazionale che disciplina i conflitti armati che ha l’obiettivo di limitare gli effetti della guerra in termini soprattutto di violazione dei diritti umani, proibisce le deportazioni individuali o di massa da un territorio occupato a quello della potenza occupante. Come stabilito dalla Convenzione di Ginevra, se uno Stato che è parte di un conflitto armato non riconosce la detezione di un civile, oppure non indica il luogo in cui l’individuo – che non è prigioniero di guerra- è trattenuto, con l’intenzione di sottrarlo alla protezione del Comitato Internazionale della Croce Rossa, commette un crimine contro l’umanità.

Nei giorni scorsi, Zelensky ha ribadito la necessità di creare un Tribunale Speciale per i crimini commessi dalla Russia in Ucraina, sulla falsariga di quelli istituiti per il Rwanda e l’ex Jugoslavia. Il presidente ucraino ha osservato che dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, le forze dell’ordine ucraine hanno registrato quasi 35 mila casi di crimini riconducibili all’occupazione delle truppe di Mosca. “Credo che la Corte penale internazionale stabilirà le responsabilità dei colpevoli di crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio”, ha affermato Zelensky qualche giorno fa, durante una Conferenza all’Aja sulla responsabilità della Russia per i crimini in Ucraina.

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