L’intesa di maggioranza sulle concessioni balneari c’è, ma non fa che rimandare un problema tra i più spinosi. Il testo finale rinvia ai decreti attuativi la definizione degli indennizzi per i gestori che non otterranno il rinnovo quando dal 2023 scatterà la messa a gara. Scompaiono dunque i riferimenti, contenuti nella proposta del governo di tre giorni fa, all’avviamento dell’attività, al valore dei beni, a perizie e scritture contabili. Rimane solo la previsione che andranno definiti “criteri uniformi per la quantificazione dell’indennizzo da riconoscere al concessionario uscente, posto a carico del concessionario subentrante”. Dei dettagli si parlerà dunque dopo le amministrative. E il 12 giugno si vota, per dire, a Genova e Palermo, Riccione, Forte dei marmi, Sabaudia, San Felice al Circeo, Arzachena e Stintino.

Giovedì pomeriggio l’emendamento è stato approvato dalla commissione Industria del Senato, che ha completato l’esame del ddl votando il mandato ai relatori Stefano Collina (Pd) e Paolo Ripamonti (Lega). Lunedì il provvedimento andrà in Aula per l’approvazione. L’obiettivo comune dei partiti è quello di evitare che Palazzo Chigi, come ventilato dal premier Mario Draghi, blindi il testo base ponendo la fiducia. Gli imprenditori balneari, al solito, protestano. Secondo Fabrizio Licordari, presidente nazionale Assobalneari Italia aderente a Federturismo Confindustria, “è stato trovato un accordo, ma non per salvare 30.000 piccole imprese famigliari, tutelare il lavoro di 300.000 lavoratori, salvaguardare un modello turistico che ci viene copiato ed invidiato dai Paesi a noi concorrenti, bensì per avviare le procedure di esproprio di queste imprese per favorire la calata in Italia di investitori stranieri che si andranno ad accaparrare i gioielli più preziosi della nostra penisola per standardizzare una offerta di prodotto che nulla avrà a che fare con ciò che gli italiani oggi conoscono ed apprezzano negli stabilimenti”.

Cosa salta – Il “come” quantificare gli indennizzi resta dunque tutto da decidere. Il governo aveva inserito nella sua proposta il concetto di “valore residuo” per chiarire che si tratta di una valutazione al netto degli ammortamenti, una soluzione che non sta bene a Lega e Forza Italia. Si disponeva che il valore residuo fosse “calcolato sulla base delle scritture contabili” un bel problema per chi finora ha fatto molto grigio e nero – “ovvero di perizia giurata redatta da un professionista abilitato, che ne attesta la consistenza”. Ora su quelle frasi è stata tirata una riga. Pd, 5 Stelle, Italia viva e il centrodestra si dicono soddisfatti. Dall’opposizione, Fratelli d’Italia definisce l’accordo “ridicolo e vergognoso“. Per Giorgia Meloni “rimandare la questione degli indennizzi addirittura al governo, con il rischio più che concreto che questi vengano fortemente osteggiati dalla Commissione europea e non vedano mai la luce, vuol dire lasciare totalmente senza tutele i concessionari attuali, che si vedranno in buona parte espropriate le loro aziende a favore delle multinazionali straniere”.

Su cosa c’è l’intesa – La bozza su cui la maggioranza ha trovato l’accordo prevede che le ragioni per l’eventuale deroga rispetto all’obbligo della messa a gara entro la fine del 2023 (e possibilità di rinvio al massimo al 31 dicembre 2024) devono essere “oggettive”, e connesse, a titolo esemplificativo, alla pendenza di un contenzioso o a difficoltà oggettive legate all’espletamento della procedura stessa”. In questi casi ai Comuni serve un “atto motivato” per far slittare il bando, “per il tempo strettamente necessario alla conclusione della procedura e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2024”. Viene poi stabilito che il ministro delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili “trasmette alle Camere, entro il 30 giugno 2024, una relazione concernente lo stato delle procedure selettive al 31 dicembre 2023, evidenziando in particolare l’esito delle procedure concluse e le ragioni che ne abbiano eventualmente impedito la conclusione”. Inoltre, il ministero trasmette altresì alle Camere “una relazione conclusiva alle Camere, entro il 31 dicembre 2024, relativa alla conclusione delle procedure sul territorio nazionale”.

Lo scontro – Mercoledì sera la commissione ha chiuso i lavori dopo aver approvato vari altri articoli del provvedimento chiave per il Pnrr. Fra questi anche quelli su concessioni della distribuzione del gas naturale, dove gli indennizzi per gli enti locali sono calcolati appunto sul “valore residuo”. “Ma per le spiagge è un’altra cosa, ci sono investimenti che sono stati autorizzati senza vincolo da parte degli enti locali”, ha notato il forzista Massimo Mallegni, da sempre schierato a difesa dei balneari. Le associazioni di categoria in queste ore hanno contestato la soluzione percorsa dal governo, indirizzata dalla direttiva europea Bolkestein e dalla conseguente sentenza con cui a novembre il Consiglio di Stato ha stabilito che le concessioni in essere sono efficaci fino alla fine dell’anno prossimo e non, come prorogato dal Conte I, fino al 2033.

Contro quella sentenza è fallito anche il blitz di FdI: la Corte costituzionale ha dichiarato “inammissibile” l’impugnazione da parte di sette parlamentari guidati da Riccardo Zucconi, secondo cui il Consiglio di Stato avrebbe bypassato il Parlamento. Per la Consulta c’è un “difetto di legittimazione dei ricorrenti a far valere prerogative non loro, ma della Camera di appartenenza”.

La delega fiscale – La partita sul ddl concorrenza (che alla Camera vivrà un secondo tempo altrettanto teso, la Lega chiede lo stralcio della norma sui taxi), si intreccia politicamente con quella della delega fiscale. Dopo vari rinvii, è stata nuovamente calendarizzata alla Camera il 20 giugno. Prima che riprenda l’iter in commissione Finanze servirà però una riunione di maggioranza per ratificare il nuovo accordo: la mediazione sul catasto definita da Palazzo Chigi con Lega e FI, andrà integrata con modifiche chieste dagli altri gruppi. E inoltre nell’agenda della commissione Finanze viene prima l’esame del dl aiuti, un provvedimento piuttosto articolato, in cui il M5s punta a inserire un emendamento contro il termovalorizzatore a Roma. L’ennesimo banco di prova per la tenuta di una maggioranza sempre più precaria.

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