A Shanghai la gente non è spaventata dal virus, ma dall’essere trovata positiva ai test. “Noi siamo in quattro, siamo terrorizzati che ci dividano”, dice un uomo rinchiuso con tutta la famiglia nel suo appartamento. “Sai qual è l’aspetto più brutto? La pubblica umiliazione, cioè il fatto che sui gruppi WeChat del condominio, i vicini di casa prendono di mira chi risulta positivo, facendo pressione sulla comunità residenziale affinché venga spedito al più presto nei centri di ricovero. Hanno paura”. Questo è il risultato della misura – per molti incomprensibile – in base alla quale anche i positivi asintomatici vengono prelevati e rinchiusi nelle cosiddette strutture centralizzate, quei palazzi per congressi, impianti sportivi, perfino piscine, in cui vengono ammassati, con o senza separé prefabbricati, generalmente senza docce e con la raccomandazione di portarsi perfino la carta igienica da casa. Così, da un lato ci sono famiglie terrorizzate dalla minaccia incombente di essere divise; dall’altro, vicini di casa altrettanto spaventati per il fatto che – non si sa bene come – il virus potrebbe circolare nel condominio se qualcuno è stato infettato.

Lockdown, delazione e pugno duro – Le autorità di Shanghai hanno giustificato la scelta della quarantena centralizzata anche per gli asintomatici dicendo che il virus si sta diffondendo principalmente all’interno delle famiglie in lockdown e quindi bisogna interrompere la catena di trasmissione “intrafamiliare” per ridurre alla svelta i casi e tornare il prima possibile a una vita normale. Sul banco degli imputati ci sono anche le consegne di cibo contaminato e gli impianti di areazione dei condomini, che potrebbero favorire la circolazione del virus per via aerea, nonché altre strutture comuni, come le scale, i corrimano. Ma se sono tutti in lockdown, come è possibile che il virus si trasmetta così? Sui social, gli shanghaiesi reclusi denunciano la sciagurata organizzazione per cui i test ricorrenti si fanno spesso tutti insieme, giù in cortile. E poi le autorità sostengono che bisogna “interrompere la catena di trasmissione”. Così la gente è spaventatissima e si abbandona alla delazione e alla pubblica umiliazione del malcapitato positivo, facilmente identificabile perché la voce circola sui gruppi WeChat che servono a comunicare con i funzionari del comitato residenziale. Il 14 aprile c’è stata una mezza insurrezione in una comunità nel distretto di Pudong, perché le autorità volevano requisire alcuni edifici all’interno del complesso abitativo per adattarle a centri di quarantena. È circolata anche notizia che volessero espropriare appartamenti già abitati, notizia che al momento non trova conferma. Le foto che circolano in Rete mostrano gente portata via da addetti della sicurezza in tuta bianca, altri che si sdraiano per terra, qualcuno fa opposizione, altri implorano.

Gli 80enni che non si vaccinano – Ormai sono pochi quelli che credono a misure di salute pubblica ispirate alla scienza. Il fattore P, cioè la politica, è quello predominante. Le autorità cinesi hanno utilizzato in chiave propagandistica la propria vincente strategia anti-Covid dell’azzeramento dinamico, cioè l’isolamento dei focolai sul modello di quanto fatto a Wuhan a inizio 2020. I cinesi vivono da due anni immersi nella narrazione di una Cina-isola felice dove la gente non muore di Covid, a differenza di Stati Uniti ed Europa. Tutto sacrosanto, ma con l’avvento di Omicron – cioè una variante estremamente virale ma poco letale – proseguire con la vecchia ricetta è la fatica di Sisifo. Il 15 aprile a Shanghai si sono registrati 23mila nuovi contagi, di cui quasi 20mila asintomatici. La crescita quotidiana potrebbe avere raggiunto il picco, dopo aver registrato dodici record in tredici giorni (il 14 aprile erano stati dichiarati oltre 26mila nuovi casi). Sembra però crescere il numero dei sintomatici, ricoverati in ospedale: nessun morto, ma nove pazienti in condizioni critiche e sono tutte persone tra i 70 e i 93 anni, con altre patologie in corso. Il fatto che le autorità abbiano comunicato e sottolineato questo dato è da leggersi come una forma di pressione psicologica nei confronti di tutti quegli anziani che ancora non si vaccinano. I dati parlano chiaro: sono proprio gli ultra-ottantenni, cioè la fascia anagrafica più debole, i più restii a vaccinarsi. A livello nazionale, poco più del 50 per cento di loro ha completato il ciclo delle tre dosi. Dato che il governo giustifica la tolleranza zero proprio con la necessità di proteggere la vita, tutti gli altri si chiedono come mai la vaccinazione non venga imposta ai vecchi, mentre c’è chi non escluderebbe l’ipotesi di lasciarli morire, con spirito contrario rinomata pietà filiale di stampo confuciano.

Tra gig economy e baratto – Nelle comunità residenziali di Shanghai che ricordano la guerra di tutti contro tutti del Condominium di Ballard (ma forse l’intera metropoli è un Condominium di Ballard), non mancano le forme di solidarietà, come i gruppi d’acquisto all’interno dei caseggiati in lockdown per procurarsi beni di prima necessità, facendo ordini collettivi nei supermercati di zona, visto che le grandi imprese di pronta-consegna della gig economy funzionano a singhiozzo. Un contatto de Ilfattoquotidiano.it che sta coordinando diversi gruppi d’acquisto nel suo condominio ci dice che praticamente è un lavoro: lui è costantemente attaccato allo smartphone per raccogliere ordini e inoltrarli ai vari spacci della zona, che di solito li accettano solo in determinate fasce orarie. Tanto l’altro lavoro, quello vero, è sospeso a tempo indeterminato. Va detto che è ritornato alla grande il baratto: pannolini in cambio di patate, carne in cambio di carta igienica e via dicendo. Nel segno del “pensare positivo”, le storie edificanti compaiono soprattutto sui media di Stato, come quella di Yang Yaosen, pronto-consegna nonché membro del comitato di quartiere per la prevenzione e il controllo delle epidemie, che dall’inizio del focolaio shanghaiese avrebbe speso circa 70mila yuan di tasca sua (oltre 10mila euro) per sfamare i bisognosi. Storia vera? Falsa? Sicuramente ben congeniata: l’eroe proletario che si sacrifica per il bene comune ci ricorda tanti precedenti dell’epica cinese.

I “cavalieri” da 1.500 euro al giorno – I pronto-consegna sono però anche nel mirino della critica perché, oltre a essere sospettati come potenziali untori, si dice che se ne approfittino. Il 9 aprile, facendo ben 60 consegne, un “cavaliere intra-urbano” (si chiamano così) della compagnia di delivery Shunfeng (SF) ha guadagnato 10.067,75 yuan (1.458 euro), che in genere è più o meno una paga mensile. La maggior parte del guadagno è arrivata dalle mance. Si calcola infatti che per ogni consegna abbia intascato circa 36,9 yuan di compenso dovuto e 131 yuan di mance. Questa storia coincide con gli aneddoti che si sentono: essendo rimasti in pochi e avendo il monopolio di quella risorsa scarsissima che è la mobilità nella metropoli in lockdown, i delivery godono nella situazione attuale di una posizione di rendita che – nonostante i turni massacranti e il lavoro infame – permette loro di massimizzare i profitti. Ci sono persone chiuse in casa che pagano la mancia per farsi portare il gatto dal veterinario o per avere altri servizi extra a cui uno di solito provvede da solo. C’è però anche un altro aspetto. La stessa SF ha confermato volentieri la notizia circolata in Rete (con screenshot) del pronto-consegna che ha guadagnato un sacco di soldi. Il fatto è che questa notizia è oro colato per quelle imprese della gig economy (e tecnologiche in genere) che nell’ultimo anno e mezzo sono finite nel mirino delle autorità perché si sono espanse senza regole, si fanno concorrenza sleale e soprattutto sfruttano senza ritegno la forza lavoro con la formula del 996 (dalle 9 di mattina alle 9 di sera per 6 giorni a settimana). Il messaggio è: visto che basta aver voglia di lavorare? Prima di invidiare o biasimare il pronto-consegna che ha guadagnato in un giorno la paga mensile, bisogna però sapere che il ragazzo in questione dorme da giorni sotto i ponti. Ha deciso di lasciare la propria comunità residenziale proprio per non finire chiuso in casa.

La speculazione degli autisti privati – I delivery sono croce e delizia degli shanghaiesi intrappolati, così come altri lavoratori. Circola un vademecum per chi volesse lasciare Shanghai dall’aeroporto di Pudong. A parte il fatto che bisogna già avere il biglietto aereo nonché il via libera della propria comunità residenziale per andarsene – cosa non troppo difficile, dopo tutto si tratta di uno di meno a cui badare – gli autisti privati che hanno ottenuto non si sa come un permesso per accedere all’aeroporto si fanno pagare in questi giorni tra i 1.500 e i 12.000 yuan (ovvero 1.740 euro) a seconda non solo dell’avidità personale, ma anche del tempo che ci vorrà per fare tutto, perché prima di partire bisogna andare a farsi un test del tampone in qualcuno dei centri rimasti aperti (tempi stimati dall’uscita di casa al decollo: 11 ore). Circola così anche la storia di un fuggiasco che è andato all’aeroporto a piedi, mettendoci 9 ore. La categoria più invisa è però quella dei dabai – cioè quelli con la tuta hazmat bianca – le migliaia di lavoratori e volontari che interagiscono con la popolazione reclusa, offrendo servizi e al tempo stesso esercitando il controllo: dagli impiegati delle comunità residenziali, alle forze di sicurezza, passando per il personale che effettua i test. Sono sia shanghaiesi sia volontari venuti da fuori e in questi giorni si legge spesso il paragone con le guardie rosse e alla Rivoluzione culturale – che nell’immaginario collettivo è il peggio del peggio – dato che in questo spazio-tempo distopico, hanno il potere di dirti che cosa fare e non fare.

I timori di Pechino – È comparsa brevemente su WeChat – prima di essere censurata – la conversazione telefonica tra l’impiegato di un comitato di quartiere e un anziano di nome Yu, che si lamentava per le sue scarse scorte di cibo, medicine, e diceva che non gli era permesso di andare da un medico anche se era febbricitante. L’impiegato prima perdeva la calma, poi si scusava e diceva di sentirsi impotente, incassando la solidarietà di Yu. Nel frattempo, a Pechino, qualcuno comincia a fare scorte di cibo, dopo aver assistito al caos shanghaiese. In genere, si pensa che nella capitale non possa ripetersi una situazione simile perché fin dallo scorso autunno le misure di sicurezza sono state molto più rigide che a Shanghai e soprattutto perché Omicron era già arrivata durante le Olimpiadi invernali, ma pare che si sia riuscita a contenerla isolando singole comunità residenziali (in questo momento ce ne sono alcune in lockdown ma la vita scorre normalmente nel resto della città). Non c’è comunque certezza alcuna. Meglio riempire il frigorifero.

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