La gup di Genova Paola Faggioni ha rinviato a giudizio tutte e 59 le persone fisiche imputate nel processo per la strage del ponte Morandi, crollato il 14 agosto del 2018 uccidendo 43 persone. La prima udienza del dibattimento è stata fissata per il 7 luglio 2022 alle ore 9 di fronte al primo collegio della prima sezione penale. “Siamo contenti, un grande lavoro della Procura. Adesso un primo giudice ha confermato la validità dell’accusa. È la giornata più importante di questi quattro anni”, ha detto ai cronisti di fronte all’uscita del Tribunale la portavoce del comitato parenti delle vittime, Egle Possetti.

Accolti i patteggiamenti di Autostrade per l’Italia e Spea Engineering (la controllata che si occupava delle manutenzioni). A metà marzo le due società, imputate in base alla legge sulla responsabilità amministrativa degli enti, avevano chiesto di uscire dal processo concordando l’applicazione della pena, ottenendo l’ok della Procura. L’importo complessivo del patteggiamento è di quasi trenta milioni di euro: Aspi e Spea evitano le sanzioni interdittive che avrebbero rischiato col processo, ma dovranno versare sanzioni pecuniarie pari rispettivamente a un milione di euro e a 800mila euro, mentre la concessionaria ha messo a disposizione per il sequestro preventivo la somma di 26.857.433 euro, “importo corrispondente al complessivo valore del progetto di retrofitting (rafforzamento, ndr) degli stralli delle pile 9 (quella crollata, ndr) e 10” approvato dal ministero delle Infrastrutture a giugno 2018 e mai realizzato, che secondo l’ipotesi accusatoria (e la maxi-perizia disposta dal gip in sede di incidente probatorio) avrebbe evitato il verificarsi del disastro. Autostrade ha anche risarcito in via extragiudiziale quasi tutti i familiari delle vittime del disastro: solo due famiglie (Possetti e Battiloro) hanno rifiutato l’accordo conservando il diritto a costituirsi parte civile nel giudizio.

Dopo le ultime conclusioni da parte di un avvocato, la giudice è entrata in camera di consiglio intorno alle 11. Rigettate tutte le eccezioni presentate dalle difese, tra cui la richiesta di alcune di sollevare questione pregiudiziale alla Corte europea dei diritti dell’uomo sul termine – a loro parere troppo breve in questo caso – di venti giorni dall’avviso di chiusura indagini preliminari, previsto dal codice per depositare memorie difensive dopo aver esaminato gli atti del procedimento. L’udienza preliminare, iniziata lo scorso 15 ottobre, è durata quasi sei mesi: i pm Massimo Terrile e Walter Cotugno hanno parlato per 11 udienze, ribadendo la richiesta di rinvio a giudizio per tutti gli imputati. “Il Morandi era una bomba a orologeria. Si sentiva il “tic-tac” ma non si sapeva quando sarebbe esploso”, la frase simbolo pronunciata nel corso della requisitoria.

All’apertura dell’udienza preliminare i legali di alcuni imputati, tra cui l’ex amministratore delegato di Aspi Giovanni Castellucci, avevano ricusato la gup Faggioni, perché è lo stesso magistrato che a novembre 2020 aveva firmato gli arresti di Castellucci, dell’ex capo delle manutenzioni Michele Donferri Mitelli e dell’ex direttore centrale operazioni Paolo Berti nel procedimento parallelo sulle barriere fonoassorbenti pericolose. A parere delle difese non era garantita l’imparzialità del giudice, perché in quelle ordinanze era stato espresso in qualche modo un giudizio di responsabilità anche sul crollo del Morandi. Sia la Corte d’Appello di Genova che la Cassazione, però, avevano respinto la richiesta.

Le accuse, a vario titolo, sono di omicidio colposo plurimo, omicidio stradale, crollo doloso, omissione d’atti d’ufficio, attentato alla sicurezza dei trasporti, falso e omissione dolosa di dispositivi di sicurezza sui luoghi di lavoro. Secondo l’accusa, buona parte degli indagati immaginava che il ponte sarebbe potuto crollare ma non fecero nulla. Le indagini della Guardia di finanza sono durate oltre tre anni e sono passate attraverso due incidenti probatori: uno sullo stato del viadotto al momento della tragedia e il secondo sulle cause che hanno provocato il crollo. La maxi-perizia consegnata al gip Angela Nutini a dicembre 2020 ha concluso che a far crollare il viadotto sono state la scarsa manutenzione e l’assenza di controlli.

Per poter celebrare le udienze in piena emergenza Covid è stata allestita una tensostruttura nel cortile del Palazzo di giustizia per ospitare oltre 200 persone tra parti civili, imputati e avvocati. Per raccogliere e analizzare tutto il materiale informatico e cartaceo sequestrato la procura ha ottenuto un super “cervellone” elettronico in uso all’Fbi, composto da un software e un hardware avanzatissimi. Dall’inchiesta sul crollo sono nati altri tre filoni di indagine: quella sui falsi report sui viadotti, quella sulle barriere fonoassorbenti pericolose e quella sui falsi report sulle gallerie e la loro mancata messa in sicurezza, aperta dopo il crollo della volta della galleria Bertè sull’A26, il 30 dicembre del 2019. I tre filoni, che vedono indagate circa quaranta persone di cui molte coinvolte anche nel crollo, sono stati unificati in un unico fascicolo ed entro l’estate verranno chiuse le indagini.

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