Dallo scoppio del conflitto i titoli dei grandi gruppi della difesa hanno spiccato il volo. Nulla di strano, è chiaro che, indipendentemente da come e quando finirà la guerra in Ucraina, i budget per la difesa di molti paesi sono destinati a salire nei prossimi anni. Germania, Norvegia, Italia, Danimarca hanno già annunciato revisioni più o meno consistenti dei loro stanziamenti. Berlino sta per firmare un assegno da 100 miliardi di euro che serviranno per acquistare anche 35 jet F35 allo scopo di integrare meglio la sua aviazione con quelle degli altri paesi Nato, svolta epocale per il paese. Di conseguenza titoli come le statunitensi Northrop Grumman e Lockheed Martin hanno guadagnato oltre il 30% in meno di un mese. In deciso rialzo anche il terzo colosso della difesa Usa Raytheon Technologies. Sono le aziende che costruiscono, tra l’altro, i missili stinger e javelins di cui si sente molto parlare nello scenario ucraino, oltre ai jet F35 per cui stanno fioccando nuovi ordini. In Europa è accaduto lo stesso, anzi di più. Il più grande produttore di armi tedesco Rheinmetall ha quasi raddoppiato il suo valore così come Hensoldt, Leonardo e Thales hanno incamerato rialzi del 50%, la britannica Bae systems si è limitata a un progresso di circa il 30%.

Ma chi c’è dietro a questi big della difesa e delle armi? Ci sono i grandi nomi della finanza, più o meno i soliti che hanno quote significative dei gruppi di mezzo mondo. Nell’industria delle armi si distingue in particolare la statunitense State street global advisory, quarto gestore di patrimoni al mondo. Detiene una partecipazione del 14,5% in Lockheed Martin, del 9,2% in Raytheon Technologies e del 9,5% in Northrop Grummann. Altro grande socio dell’industria militare è Vanguard, società statunitense che gestisce asset per oltre 5mila miliardi di dollari. Possiede il 7,2% di Northrop Grummann, il 7,2% di Lockheed Martin, il 7,5% di Raytehon. Ha una quota del 2,8% nella tedesca Rheinmetall, l’ 1,3% della francese Thales, l’1,9% di Leonardo e lo 0,7% di Hensoldt. Tra i nomi più noti della finanza si segnalano l’onnipresente Blackrock che in portafoglio tiene il 4,1% di Northrop Grummann , il 4,8% di Lockheed Martin, il 4,7% di Raytheon, il 3% di Leonardo e lo 0,2% della britannica Bae Systems. C’è poi Jp Morgan, con quote in Northrop Grumann (2,9%) e Raytheon (1,5%). Soci di peso sono anche i gruppi di investimento Fidelity e Capital Research.

Meno prevedibile la presenza, in molti di questi gruppi, della divisione di investimenti della Banca centrale norvegese. “Lavoriamo per costruire la sicurezza e la ricchezza finanziaria delle nuove generazioni” si legge nella home page del sito. Norges bank è presente nell’azionariato di Rheinteall (2,5%), di Hensoldt (0,6%), Leonardo (0,6%), Thales (1,2%). In concreto cosa significa avere in portafoglio queste partecipazioni? Prendiamo ad esempio il caso di State Street, uno dei più rappresentativi. Le tre aziende di armi in cui è presente hanno registrato nelle ultime settimane un incremento della capitalizzazione complessivo di circa 35 miliardi di dollari. Significa che il valore delle sue partecipazioni è cresciuto di 3,7 miliardi in meno di un mese. C’è anche qualcuno che forse, nonostante tutto, stappa champagne.

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