Tim arranca con 4 miliardi di svalutazioni e 8,7 miliardi di perdite nel 2021. Una cifra record soprattutto se paragonata all’intero valore di mercato della società, pari a circa 5,2 miliardi dopo il tracollo del titolo in Borsa (-14%). Così, per costruire il futuro, l’ex monopolista pubblico punta tutto sulla rete unica e sullo sviluppo del cloud nazionale, la libreria virtuale dove saranno conservati i dati strategici del Paese. Ma se da un lato il governo ha dato un aiutino a Tim con il bando per il polo strategico nazionale del cloud, dall’altro rischia di mettere in difficoltà un sistema di imprese pubbliche. Il Ministero della transizione tecnologica, guidato da Vittorio Colao, si è infatti “dimenticato” di tirare in ballo anche le aziende regionali, specializzate nell’informatizzazione, mettendo a rischio il lavoro di circa 8.300 persone distribuite su tutto il territorio nazionale.

Il sistema delle società regionali – Con un’aggravante: il consorzio Telecom-Cassa depositi e prestiti-Sogei-Leonardo, attorno al quale ruoterà il polo strategico, non ha un proprio cloud. Le municipalizzate invece sì, sia pure a macchia di leopardo, a seconda di quanto ogni società regionale è riuscita a sviluppare negli anni. Stiamo parlando di un sistema fatto di 19 imprese, secondo i dati dell’associazione che riunisce le aziende pubbliche del settore, Assinter. Aziende che realizzano un fatturato da oltre un miliardo di euro. Si occupano di servizi e soluzioni tecnologiche applicative (per il 64% del business), di servizi infrastrutturali come cloud, data center, sicurezza (30%) e di attività di supporto (6%) come valorizzazione dei dati e gestione documentale.

I risultati – Per non parlare del fatto che alcune società hanno anche sviluppato sul territorio autostrade telematiche. Qualche esempio? L’azienda pubblica dell’Emilia Romagna, Lepida, ha 110.185 km di fibra, 217 siti radio e 9.329 punti wifi. Ha connesso 1.297 scuole e offre i suoi servizi a tutti i suoi soci, 443 enti tra cui la Regione, tutti i 328 comuni e le otto Province emiliano-romagnole, oltre alla Città metropolitana di Bologna, alle quattro Università dell’Emilia-Romagna e alle dodici aziende sanitarie locali e Ospedaliero-Universitarie della Regione. La società Csi Piemonte aggrega 130 soci, tutti pubblici. Fra questi buona parte dei comuni piemontesi, ma anche Università ed aziende sanitarie. Con un servizio che sfrutta un’infrastruttura in fibra oltre 700 Km. Fattura 143 milioni e dal 2018 ha registrato un tasso di crescita del 9 per cento. E ancora LazioCrea, società al 100% della Regione, che nel 2020 ha progettato “la realizzazione della rete in fibra ottica in alta affidabilità, di esclusivo utilizzo regionale, dedicata alla sanità regionale, denominata Rete della Sanità del Lazio (RANSAN). Tale rete abiliterà il trasferimento ad altissima velocità” come si legge nel bilancio 2020.

Le richieste – Forti di questi numeri, secondo quanto risulta a ilfattoquotidiano.it, le aziende pubbliche regionali sono pronte a dare battaglia perché non vogliono restare isolate o, peggio ancora, essere messe al tappeto dal rapido ingresso sul mercato dei big statunitensi. Per questo cercano un confronto con il ministero, con l’obiettivo di definire assieme un piano di sviluppo pluriennale. Anche perché il lavoro non mancherebbe. Ma è necessario fissare rapidamente i paletti per evitare il peggio per le aziende pubbliche locali. Quelle cioè che, durante la pandemia, hanno consentito la gestione dei software per la vaccinazione e hanno garantito l’operatività della pubblica amministrazione e attraverso lo smartworking con sistemi di remotizzazione totalmente pubblici.

I conti di Tim – Un mondo a parte rispetto agli operatori telefonici che pure stanno affrontando le sfide di un mercato fortemente competitivo che necessità continui e corposi investimenti. Per Tim, che chiude il 2021 con 15,3 miliardi di fatturato e un margine da 6,2 miliardi, il nuovo anno porta in dote un piano di ristrutturazione a tappe forzate appena illustrato alla comunità finanziaria dall’amministratore delegato Pietro Labriola. Dopo la pulizia di bilancio, la società dovrà valutare la cessione del 41% della controllata Inwit per la quale ha ricevuto un’offerta da 1,3 miliardi dal fondo Ardian. “Nel caso in cui l’offerta fosse accettata rimarremmo con il 10% incluso con privilegi di governance” ha puntualizzato Labriola. Nessuna novità è invece arrivata sul fronte dell’offerta, mai formalizzata, del fondo Kkr. Intanto l’azienda, su cui pesano ancora oltre 22 miliardi di debiti, ha fatto sapere che si prepara ad un nuovo giro di taglio dei costi pari almeno al 15% del totale, “con l’ambizione di arrivare fino al 20%”. E i dipendenti si preparano al peggio.

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